R-Evolution Band “The dark side of the wall”, recensione

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A dire il vero, non so se il signor Water possa apprezzare la nuova release dei R-evolution band; non tanto perché non definisca i parametri di qualità che un opera come the Wall deve mantenere, ma più che altro per la deflorazione di un concept nato dal subconscio dell’artista nativo di Great Bookham. Infatti, questa curiosa e complessa rivisitazione dell’undicesimo album dei mitologici Pink Floyd, rappresenta un opera tanto interessante, quanto audace, che farà tremare gli oltranzisti e discutere i fan orfani della maestosa caratura del quartetto britannico.

Il lungo platter, racchiuso in un ben definito digipack, racconta in maniera inattesa 26 tracce 26, che alternano coverizzazioni ad inediti creati di Vittorio Sabelli, anima e corpo di questo progetto targato Wide Production.

Il disco, come si legge dall’introduzione, non è un emulazione, ma un opera di distruzione e contestuale ricostruzione irreversibile, attraverso il quale, l’intento della band viene a palesarsi solo dopo un attentivo ascolto, a seguito del quale emergono gli intenti artistici (decidete voi se folli o geniali), arrivando a ricreare una nuova modulazione del concept. Un disco (di certo) da vivere attraverso un nuovo sguardo, introdotto dalla vocalità made in Japan di In the flesh?, coraggiosa rivisitazione del brano originale. Sin dalle prime note, improvvisi cambi direzionali si percepiscono come forzature interessanti, legate ad un trait d’union sottile, che, in maniera modulare, si allontana dall’originale per poi (ri)avvicinarsi in maniera necessaria. Nello sviluppo sonoro della partitura il neoclassicismo del clarinetto di Sabelli, appare pronto a sfidare il prog anni ’70 ( The baddest days of your life) e i silenti giochi space ( Young Lost), dai quali arrivano mescolanze jazz e progressivi andamenti retrò.

Se poi con brani come One of my bad days ci si richiude in una animo melanconico e osservativo, con The tin ice il sapore eigthees viene trainato da un controllato ( ma poco convincente) growling, che si fa più istintivo e definito in Another brick in the wall Pt.2, definita in salsa thrash. Da qui emerge lo spoken di Sonia Bellini, abile nel lasciare spazi acidi, dediti ad un free jazz rimescolato a prog , rumorismo e gutturalità, atta a filtrare le scorie sonoro verso un anima tanto nobile quanto destabilizzante.

Non mancano poi né sviluppi tribal pop & trip hop ( Hey you (Intermade)), né inserti rock, proprio come accade nell’acdciana Another rock in the wall, traccia di transizione tra il blues method di Mother e le sensazioni filmiche di No body.

A chiudere la lunga opera espressiva dei R-evolution band è ’epicità gucciniana di Is anybody out there? e le intuizioni imprò di Waiting from the whorm, atto anticipatorio di della follia esecutiva di The trial, in cui Sabelli amalgama il dissacrante connubio Ezrin – Water, in un intricato jazz ritmico, la cui drammaturgia vintage abbraccia l’ascoltatore pronto ad accogliere una revisione sonora coraggiosa e straripante.