Radiohead – Amnesiac, recensione del cd.

Radiohead - Amnesiac, cd cover.

Meno di un anno fa con Kid A i Radiohead avevano seminato dubbi e certezze, spaesato e deliziato, mettendo in discussione lo star – system e loro stessi.

Bisognava uscire fuori dalla circolo vizioso del music business, dalle conferenze stampa, dai programmi televisivi e dalla routine. Fuori da tutto, e da niente: il disco raggiungeva (nonostante gli sberleffi della stampa americana) il n.1 nelle top chart USA.

Tanto bastava. O forse, no. Chi scrive non aveva apprezzato il nuovo corso, perché troppo affezionato alla circolarità, a tratti asfissiante, nella song form dei brani di The Bends e da quel mix di amarezza e dolcezza che altri gruppi, in seguito, avrebbero fatto proprio conquistando consensi a man bassa.
Loro invece abbandonavano quella strada per proseguire sui territori della sperimentazione. Ma i vertici artistici toccati con OK Computer non bastavano. Bisognava non solo “uscire”, ma andare oltre.

Forse, sono andati così troppo in là da rimanere col dubbio che qualcosa non stava girando per il verso giusto. Forse, mancava la reale determinazione a scomparire del tutto, dissipando e dissipandosi nelle secche della techno ambient: territorio di suggestioni sonore infinito, ma spesso fine a se stesso. Era questo il problema: nell’opera di dissoluzione stilistica i Radiohead si stavano trasformando in un’enciclopedia di suoni eterei e dispersivi più che in un discorso musicale compiuto.

Se sia vera o no questa interpretazione, poco importa. Fatto è che nel giro di alcuni mesi, hanno corretto la loro direzione di marcia quel tanto necessario per non affondare nelle trappole dell’incomunicabilità artistica. Amnesiac senza rimettere in discussione il nuovo corso, lo arricchisce.

Dimenticatevi i Radiohead di Pablo Honey e di The Bends, quelli non torneranno più.

Non credete alle voci indiscrete che hanno anticipato l’uscita del nuovo lavoro fomentando aspettative e cambi di rotta (all’indietro). Credete, invece ad un disco che riesce a limare le asperità e i limiti del lavoro precedente senza far perdere di vista la inarrestabile voglia di innovazione del quintetto. Il claustrofobico incedere di Packt Like Sardines In A Crushd Tin Box anticipa la struggente bellezza di Pyramid Song, primo singolo estratto e costruito su un asimmetrico accompagnamento del piano.

Si prosegue con You And Whose Army? (la nuova Karma Police?) che con I Might Be Wrong (caratterizzato da un riff di chitarra old – style su tappeti ritmici sincopati) e Knives Out (un “classico” jingle jangle malinconio) rappresentano il momento topico di tutto il disco.

Il tempo di ritornare per un attimo al passato prossimo (Morning Bell/Amnesiac, versione più sobria rispetto a quella in 5/4 contenuta in Kid A) e subito ci si reimmerge nei territori oscuri di Dollars & Cents (pregevoli gli arrangiamenti degli archi), nelle ascetiche trame di chitarra in Hunting Bears.

La conclusiva Life in A Glasshouse è una gustosa citazione alle funeree marchin’ band di New Orleans.

Amnesiac è un disco forte nei momenti più insicuri e affascinante in quelli di puro abbandono.

I Radiohead sembrano aver trovato la strada giusta.