Richard Bona – Munia

copertina di Munia di R. Bona

Non è facile descrivere le atmosfere create dalla musica di Richard Bona. Ascoltandola si intuisce che è un fiume al quale contribuiscono numerosi affluenti, i quali si stemperano però in una sintesi delicatamente unica e nuova, scaturita dal talento e dalla personalità di questo stupefacente compositore, polistrumentista e cantante cameroonense.

Il Cameroon, paese in cui Bona è nato e del quale la sua musica conserva, oltre al linguaggio Douala, la ritmica complessa e l’uso dei cori in contrappunto con la voce solista, è un paese che si affaccia al golfo di Guinea stretto tra due giganti africani: la Nigeria e il Congo. Forse, a causa dei suoi ingombranti vicini, la musica moderna cameroonense sarebbe stata poco più di una miscela di highlife nigeriano e rumba zairese, se non fossero emersi artisti del calibro di Manu Dibango, Francis Bebey, Sally Nyolo e Richard Bona. Il sassofono e la voce di Dibango hanno fatto conoscere e ballare in tutto il mondo il sound della Makossa. L’autorevolezza e l’ironia di cui sono infuse le canzoni di Bebey hanno diffuso a Parigi le storie e le tradizioni dell’Africa equatoriale. Sally Nyolo ha creato, dapprima assieme alle Zap Mama e poi da sola, una miscela unica tra generi occidentali moderni quali il Funk, il Soul, l’Hip Hop e il Reggae e le straordinarie sonorità vocali delle tribù di pigmei della foresta.

Ma tra tutti, credo che Richard Bona sia il più stupefacente. Nato in un piccolo villaggio da una famiglia di musicisti, da giovanissimo imparò a cantare e suonare numerosi strumenti: balafon, percussioni, flauto e chitarra.. Trasferitosi a Parigi a 22 anni, lavorò con Manu Dibango e Salif Keita, ma soprattutto cominciò a studiare il Jazz, diventando in breve uno dei giovani bassisti jazz più apprezzati della scena contemporanea. Definito da alcuni come il vero erede di Jaco Pastorius, Bona si trasferì a New York, dove ha suonato, tra gli altri, con Mick Stern, Joe Zawinul, Larry Coryell, Pat Metheny, i fratelli Michael e Randy Brecker, Gorge Benson, Steve Gadd e Bobby Mc Ferrin. Ha pubblicato fino ad oggi tre dischi splendidi a suo nome: Scenes from my life (Columbia, 1999), Reverence (Columbia, 2001) e Munia.

Munia è un lavoro raffinato e originale. Bona, oltre a comporre e cantare, vi suona il basso, la chitarra, le percussioni e le tastiere elettroniche. Il resto della band è composto da Nathaniel Townsley alla batteria, Georges Witthy alle tastiere, Gilmar Gomes alle percussioni, Aaron Heick ai sassofoni, Todd Horton alla tromba e flicorno, Andrew Lippman al trombone, Coco Mbassi, Valerie Belinga e Julia Sarr ai cori. Gli ospiti sono numerosi e illustri.

La prima traccia, Bonatology, è un coro a tre voci, tutte di Bona, dal sapore dolce e antico. Segue Kalabancoro, il mio brano preferito. Il pezzo si annuncia già dalle prime note di chiara ispirazione mandengue, nonostante la splendida voce di Bona che, al contrario degli interpreti maliani, è giocata sui timbri acuti e sul falsetto in modo soffice e delicato. Ma l’interprete maliano arriva, si chiama Salif Keita e lascia senza fiato. La sua voce esce dal nulla all’improvviso, calda e vigorosa, mentre l’accompagnamento di Djely Moussa Conde alla kora e di Bailo Ba al flauto peul costruiscono il prezioso ordito musicale. La terza traccia, Sona Mama, è una ballata suonata e cantata interamente da Bona, e viene dall’Africa, non c’è dubbio. Come non c’è dubbio che il brano successivo, Painting a Wish, è jazz di gran classe, da brividi. Un tributo a Miles Davis in cui, assieme al basso di Bona, suonano Winnie Colaiuta alla batteria, Kenny Garrett al sax soprano e Gorge Colligan al piano.

Nella traccia cinque, Engingilaye, suona ancora Colaiuta, ma la band è ampia, e la musica è quella a cui Bona ci ha abituato da sempre, le cui radici sono l’Africa occidentale in tutte le sue sfumature, l’America Latina, il Jazz, il Soul. Il pezzo numero sei, Dina Lam, è ancora una ballata, a cui segue Balemba na Bwemba, un brano giocato tra il rock e i ritmi caraibici. Muto Bye Bye, la traccia otto, è una splendida ballata jazz suonata in trio con Colaiuta e Colligan. Bona Petit è bossanova cantata in francese, supportata dai brasiliani Gilmar Gomes alle percussioni e Romero Lubambo alle chitarre. Siamo quasi alla fine. Dopo una ballata di sapore africano, Couscous, il disco si chiude con Playground, un pezzo strano, suggestivo, dedicato ai bambini della terra, a metà tra il jazz e la new age, suonato da Bona e Colaiuta e cantato da un coro di bambini.

Munia è, a mio parere, un disco da non perdere, se non altro perché ci fa conoscere un giovane artista straordinario che, superando i confini dei generi e degli stili musicali, incarna in qualche modo lo spirito poliedrico della cultura della nostra epoca.