Riserva Moac

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Un viaggio, un’esperienza che tocca tutte le corde di noi, strumenti suonati per la nostra passione per le cose, per le persone, per i luoghi, per i tempi, per le diversità. Perché dall’altro da sé c’è sempre da imparare.

Si presenta così il collettivo musicale folk over Riserva Moac, nel loro disco d’esordio, uscito in questi mesi per Ultimo Piano Records; un premio che fa trapelare la voglia e la necessita’ creativa della band, volta alla sostanziale ricerca di nuovi espedienti, capaci di comunicare in modo inedito e diverso, una musicalità vissuta come crocevia tra ritmi antichi e moderni. L’esordio discografico del gruppo di Campobasso, si mostra capace di trasmettere in maniera aperta, suoni molto differenti tra loro, miscelati in euritmia, che pur basandosi sul combat folk, attingono partiture dal mondo balcanico, dalla patchanka, dallo ska, dal jazz. Una babele di generi, di sonorità, di ritmi lontani che trovano nel termine Moac, un luogo in cui incontrarsi e armonizzarsi tra loro. Un suono che si basa sulla scelta acustica e su strumenti originali come congas, kalinba, chekere, zampogna, ciaramella, gaita e molti altri.

L’album d’esordio, si apre con “Introterra”, brano strumentale dominato dal bucolico suono di una cornamusa che introduce uno tra i brani migliori, “Bienvenido en la riserva” in cui la bella voce di Fabrizio “Pacha Mama” Russo, si integra alle alte tonalità di Mariangela “Maya” Pavone. La track insegue il leit motiv del disco: la terra, le origini, il tema del viaggio e dell’incontrarsi. Forse il brano può apparire autocelebrativo, ma il risvolto divertente e divertito, altro non è che una presentazione di questa enclave in cui abitano tutti i musicisti del collettivo. Un allegro ritmo ska folk che descrive la voglia di suonare e di superare i confini; intento concretizzato da un outro in stile jazz, che meraviglia e stupisce.

La voglia di arrangiamenti inusuali si unisce alla necessita’ ricercata di stupefare e integrare senza ghettizzazione suoni e lingue, come accade in “Ohi Mama” e “Viagge dent’e fore” che vivono attorno ad un alternarsi di lingua italiana e dialetto, molto presente in tutto il disco. In “Bienvenito” si trovano anche tracce di attualità politica e sociale, come nel bel testo di “Poli(s)tica” in cui ritroviamo la feroce critica ai politicanti di oggi, che decidono le guerre come se si stesse giocando con le armate colorate di risiko; oppure come in “L’oceanico” in cui emerge l’inquietante visione Orwelliana di un mondo dominato dall’occhio ipnotico di una televisione ad immagine e somiglianza di chi la governa. Anche in questa track il collettivo cambia improvvisamente direzione strizzando l’occhio all’unpolitical hip pop che tanto ricorda Frankie hi-nrg.

Siamo quindi di fronte ad un disco tanto bello quanto vario, e ci sarà di certo più di un motivo per cui la Riserva Moac è riuscita ad aggiudicarsi il primo premio al blasonato Arezzo Wave nel 2003, e nello stesso anno al Mei Fest e al Folkontest, alla biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo 2004, senza contare il prestigioso premio “miglior band europea” al Festival de Lorient, in Bretagna…

Chissà se per una volta non si possa apprezzare e accogliere con la dovuta attenzione la band nostrana, sfatando l’ormai obsoleto nemo profeta in patria