Rudhen “Imago octopus”, recensione

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Sono giovani e per questo portano con sé idee fresche, vitali e talvolta perfettibili.

Nata nella primavera del 2013, la band veneta parte dai propri lidi per affrontare l’oceano di nuove proposte, cavalcando un sound apertamente stoner e superando inattesi cambi di line up, vissuti come nuovo stimolo creativo al servizio delle linee espressive di base, ben definite dall’anthem stilistico Hellraiser, presente nell’extended played d’esordio. Proprio il brano di punta rappresenta un ponte espressivo con il nuovo Imago Octopus , che riesce a porsi a con le sue ritmiche avvolgenti, come fulcro espressivo, diversificato rispetto all’esordio, ma (nel bene e nel male) stilisticamente ed emozionalmente simile al precedente.

Infatti, se talvolta il sound appare mal cucito alla linea del cantato, la band si offre agli ascoltatori con la giusta verve ed un songwriting piuttosto interessante, in cui l’arte visionaria definisce l’assenza di contorni. Una strutturazione, che inevitabilmente porta richiami stilistici al mondo Go Down Records, oltreché impostazioni Fu manchu, senza però perdersi nei classici cliché del genere, attingendo ad influssi diversificati del rock vintage.

Il viaggio nelle note del nuovo Ep si appoggia ad un classico riff dalle atmosfere stonerizzanti, in cui la ridondanza ipnotica lascia spazio al timbro particolare di Alessandro Groppo che a tratti riporta alla mente il mondo heavy anni’80. Il brano iniziatico si racconta mutando pelle anche grazie ad un calibrato uso della bass line, a cui si affiancano sensazioni prog oscure e narrate da una lunga enclave sonora, pronta a lasciare spazio all’implosione terminale.
La scompostezza vocale ci invita poi, tra stoner e rock, verso Rust, in cui l’osservativo groove raccoglie grezzi passaggi posti ai margini di sbavature garage, mentre l’impronta diretta e cartavetrata degli incisi, vive tra un’indiretta evocatività vintage e una decisiva sezione ritmica.

La band non sembra ricercare la perfezione del suono, ma al contrario finisce per recuperare con grezzezza (piacevole) sentori Black Sabbath, mostrando al contempo potenzialità e limiti espositivi di certo migliorabili, proprio come dimostra Flying into the mirror , pronta ad aprirsi ad aperture easy, sino a giungere al rock di stampo classico in Lost. Ritmo veloce, passaggi aperti e rimando oldies, che meditano sulle slow action, abili nel assorbire l’ascoltatore, proprio come gli arditi suoni pseudo tribal che fungono all’apertura granitica di passaggi (Arabian Drag ) posti tra sussurri teatralizzati e ridondanze sonore.

Un’anima stone’n’rock che, pur avendo fisiologici margini di miglioramento, dona al mercato un disco ragionato e (solo a tratti) ingenuo, in cui le idee chiare emergono più dal buon lavoro sonoro, che non da una pretenziosa cover art.

Tracklist
1. Sorrow for your life
2. Rust
3. Lost
4. Flying into the mirror
5. Arabian Drag