Sick Tamburo “A.I.U.T.O.”, recensione

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Tornano dopo due anni urlando A.I.U.T.O., grido colmo di celato dolore, rivolto a tutti noi, nel tentativo di illuminare la strada che ci porta lontano da quella serie di meccanismi, che noi medesimi abbiamo creato per farci soffrire. Un filosofico cerchio masochistico che nolenti o volenti fa parte del nostro substrato culturale contemporaneo. L’uomo narrato dalle 12 tracce è infatti l’uomo autolesionista, scevro di razionalità composta e vittima di un sistema a chiusura stagna atto a nutrire ridondanza etica e infelicità basica. Il disco della coppia Gian Maria Accusani e Elisabetta Imelio suona, nonostante le elitarie premesse forse più easy del suo predecessore.

Ma nonostante un approccio acustico più diretto, così similmente a Kant, il songwriting appare scettico rispetto alla possibilità di poter giungere alla conoscenza di sé ed alla soluzione di molti interrogativi, arrivando così ad una semplice narrazione forse più matura del recente passato, intenta ad una storia composita di matrice ideal-realistica, tra sarcasmo e polemica velata.

Anche se il mondo Prozac è lontano, appare indubbio risentire in alcuni passaggi il loro fertile retroterra musicale, come si palesa nell’iniziatica In fondo al mare che, nonostante minimalistici passaggi e velati backvoice, risulta forse tra le tracce meno riuscite, se non l’unica su cui sin da un primo ascolto nascono dubbi legati al groove e alla composizione nel suo insieme. Ma l’attesa del meglio è breve, tanto è vero che già con La mia stanza ogni dubbio è fugato, grazie ad un sincopato atteggiamento che vive nel convincente stoner impietrito dal riff portante,. Un viaggio tra post grunge e asincrona linea di cantato, che risulata la reale protagonista di questa inquietante filastrocca. L’andamento cadenzato torna poi più volte in brani come Magra e nell’iper elettronica La danza , una storia rock, nera e darkettara che anticipa episodi interessanti di un disco ricco di sfumature in scala di grigi.

Non manca ovviamente la calda voce di Mr man ( alias Accusani) che, come da copione, regala perle di cantato trainanti, inquiete e ridondanti come l’ipnotica E so che sai un giorno, traccia sospesa verso un finale esplosivo che si fa attendere, ma non si concretizza se non nella sua aura demodè. I giochi di fad in and out, tra echi e controcampi, sembrano fortificare l’apparato scenico impostato dalla band come ad esempio accade nella perfetta La mia mano sola, che tra drammaturgica narrazione e un intelaiatura musicale di ampio respiro, ricorda sapori alternative dell’estremo nord. Non stupisce poi la capacità di ammaliare l’ascoltatore attraverso il celato scopo di esplicitare la connessione tra diversificati generi, come dimostrano i riff heavy di Finnchè tu sei quà mescolati ad andature rap, nonché il metal- tribalistico di La canzone del rumore, che proprio con i suoi onomatopeici rumors ricerca la rottura degli schemi mentali che, come la voce in campo racconta, potrebbe essere un aiuto all’interruzione del circuito mentale abitudinario e coatto. Un loop metaforizzato da una convincente chiusura del disco che, dopo la freddezza visione futuristica di Si muore di aids nel 2023 e la tristezza posata ed alternativa di Con le tue mani sporche, si rintana nella prigione del vissuto, con una titletrack delirante che forza un’oscurità intellettiva presente trasversalmente in questo secondo full lenght.

Un disco che pur volendo fornire la risposta alla domanda kantiana “che cosa è l’uomo”, non si pone su di un elitario piano esplicativo, ma si interpone tra gli spazi del nostro inconscio, senza voler dare uno scioglimento dei nodi filosofici, limitandosi a narrare urla silenti, fagocitate dalle idee che i fan (anche Prozachiani) apprezzeranno non poco.

TRACKLIST

01 In fondo al mare
02 La mia stanza
03 E so che sai che un giorno
04 Finché tu sei qua
05 La canzone del rumore
06 Si muore di AIDS nel 2023
07 Con le tue mani sporche
08 Magra
09 La danza
10 La mia mano sola
11 Televisione pericolosa
12 Aiuto tamburo