Silvia Caracristi “Orbita”, recensione

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Un elegante digipack a doppia apertura, dominato dalla freddezza cromatica di un azzurro mare, in cui minuscoli triangoli compongono e scompongono l’arte di Silvia Caracristi. Una diaspora grafica pronta a riallinearsi in una sorta di elica romboidale, metafora accorta del DNA artistico della cantautrice, la cui anima ci appare nata è maturata attorno ad un “lento fare e disfare”, metro essenziale di questo raffinato debutto. Un esordio convincente, che si presenta come un allegorico movimento ciclico, raccontato tra debolezze ed ossessioni intime e cangianti, proprio come la genesi nascosta dei minimali arrangiamenti.

Silvia Caracristi arriva al suo esordio mediante la Riff Records, abile ad intuirne il potenziale espressivo, generato da anni di attenta gestazione voluta è dovuta. Il disco, sin dal primo ascolto, si palesa come fortemente introspettivo, intimo e per certi versi emotivo, pronto ad offrire il proprio lato easy listening alle venature acustiche e ai sentori d’oltreoceano.

L’album, finalizzato attraverso una riuscita campagna di crowdfunding, sembra basarsi sulla soave vocalità di Silvia, che, nonostante inevitabili raffronti con il timbro vocale di Arisa, si mostra delicato e convincente, in grado evitare ombre espressive sulle performance. Palese dimostrazione delle facoltà artistiche sembra essere l’overture di Orbita, in cui trapela immediatamente una qualità tecnica invidiabile, pronta a porsi tra il pop diretto e l’anima cantautorale, qui docilmente appoggiata su di un lieve tappeto dominato dalla chitarra. Uno sviluppo soffice e piacevole, che ha un’intrinseca necessità di ascolti attentivi per riuscire ad emanare, con la dovuta precisione, le sue svariate sfumature.

Una rappresentazione tenace, ma delicata, un armonioso risveglio che ci invita al mondo eclettico di Disordinata, in cui il clapping hands definisce il pattern sonoro ideale nel formare gli sviluppi delicati e pseudo alternative. I suoni curiosi di toypiano, bouzouki e autoharp bene si bilanciano alla incisiva bass line, che spesso appare immersa in partiture ben ponderate . Se poi Medaglia d’oro, nonostante il suo iniziale minimalismo, non riesce a conquistare appieno, con la leggera ed ironica piacevolezza di Casalinga si torna su una riuscita linea, interposta tra avvolgenti toniche e specchi di calore espressivo. Superato poi il riuscito sdoppiamento vocale, si arriva ad impreziosire il viaggio sonoro mediante inattesi eco e riverberi dall’anima acustica, che ci invitano tra le braccia dei brani più riusciti tra cui annoveriamo la calmierate Pezzi di cielo e la straordinarietà di Ulisse, traccia libera e sognante, dominata da un pizzicato, posto come fil rouge al servizio della visionaria narrazione, tanto delicata quanto ermetica, che definisce un approccio onirico pronto a rimandare al mondo dei Tiromancino.

A chiudere il full lenght tra le note color acquarello, sono infine le sonorità sottili di Penelope ed il cadenzato andamento di Candida, sguardo melanconico sulla natura umana che, grazie alle sue delicatezze, lascia all’ascoltatore la voglia di ripartire da capo.