Skanners”Factory of steel”, recensione

Sk.jpg

Factory of steelPicture of war, in cui ancora oggi ritrovo il dolciastro piacere d’ascolto.

In quegli anni (era il 1988) era difficile conoscere le band heavy; infatti myspace ed internet erano solo utopie, e per imparare e scoprire era necessario far riferimento ai metallari più grandi ed esperti, oppure impietosire il gestore del piccolo negozio di dischi per ascoltare qualche traccia. Di quel giorno ricordo che, nonostante l’esasperazione, i miei genitori, già abituati a From Enslavement to Obliteration, furono convinti a pagare le 15.000 lire, per quel nuovo e misterioso disco che molto mi ricordava l’operato filmico di David Cronenberg.

Oggi, a dire il vero, il mio gusto ed il mio orecchio sono più avvezzi a band come gli Intracranial Butchery o i Disgorge, ma confesso che questo Factory of steel, ultima fatica degli Skanners, ha risvegliato in me la voglia di puro e semplice heavy metal, oggi piuttosto difficile da realizzare senza ricadere nella banale auto referenziazione. Il disco riesce nell’intento di suonare partiture di stampo classico e armonie moderne, tra idee chiare e convincenti unite ad un amore incondizionato per il proprio lavoro.

Factory of steel , registrato nella zona di Bolzano e mixato in Germania, rappresenta il nuovo corso della band che sembra volersi nutrire di distorsioni e riff taglienti, emanananti puro sapore metallico old style. Sembra di rivivere quelle note raccontate da HM, gloriosa rivista mensile dalle lettere dorate, anche grazie ad una voce assimilabile al più ispirato Halford e la grinta musicale del mitologico Snaggletooth. I passaggi alle pelli appaiono incantevoli e il dialogo tra chitarra ritmica e i tipici heavy solo rendono merito ad un ensemble capace ancora oggi di cavalcare l’onda del suono.

Ad aprire le danze ci pensa Never give up, brano che offre d’impatto una climatica ascesa nel mondo degli Skanners, traccia palesemente pensata per la presa live. La voce del frontman, vicina allo stile del compiando Ronny James Dio, si assesta sul convincente groove metallico di Iron man, che trasuda sentori purple e autentico metal. Sin dalle prime note ci si rende conto di come le tracks sembrano davvero forgiate nella cupa industria che capeggia sulla cover art, che diviene realtà sonora nell’incipit della titletrack, in cui la voce di Claudio Pisoni sviluppa una linea di cantato diversificata ma, rispetto ad altre canzoni, maggiormente rettilinea. In Factory of steel si mescolando infatti interazioni teutoniche dalle ritmiche e dalle armonie care agli Helloween di Keeper of the seven keys part 2, soprattutto nell’inciso dall’ottimo impatto stilistico.

Con Hard and pure arriviamo poi ad vero e proprio inno heavy, che tra borchie e headbanging, offre ai fan un brano già classico. Anche se la presa e la resa dal vivo del brano appare più convincente, non sembrano esserci sbavature, se non il poco ardire compositivo. La band sembra infatti volersi accontentare, quasi non accorgendosi dell’enorme potenzialità espressiva e compositiva che ha a disposizione, come dimostrano brani come la proto saxoniana Thunder in my hand e The Lords of Lies, roccioso episodio dall’impronta britannica, annoverabile tra i migliori capitoli di questa nuova release.
Se poi Story of sound non sembra conquistare appieno, è anche vero che una traccia come When i look in your eyes ci ripaga di tutto quel tempo in cui la band ha deciso di rimanere nell’oblio. Tra controcampi, euritmie ragionate, assoli e cupezza sonora fucina di una piccola meraviglia di easy metal.

Insomma un disco che suona e risuona semplice ( e per alcuni questo sarà un problema), pulito e convincente, tanto che, ancora una volta, non si può non considerare gli Skanners come un esempio da seguire nella ricerca stilistica del metal classico.