Spero Promitto Iuro “Zero”, recensione

spi.jpg

Violento, onirico e granulare; ecco a voi lo straordinario debutto dei Spero Promitto Iuro, quartetto triestino dedito ad un alchimia sonora in grado di demolire stereotipi facili, sfruttando tecnica e citazionismo in maniera godibile e ben strutturata.

L’extended played Zero, promosso dalla Go down Records, appare (sin dal primo ascolto) in grado di rimescolare ottime striature metal, ponendole sugli orizzonti stoner e pseudo thrash, anche grazie alla caratteristica timbrica di Jaconque, singolare e graffiata linea vocale. Nonostante un mixing perfettibile, il disco esce dal proprio guscio già maturo e convincente, modulato su di un impatto sonoro solido e lucido, in cui la band sembra voler portare il proprio ego ai limiti di una visione rock, in cui si concede ben poco alle ombre.

Il disco si presenta celato dietro alla (grezza) rivisitazione del Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, ridefinendo l’impatto estetico di un metal frontman volto in controluce sull’incerto futuro. La cover art, infatti, porta con sé, proprio come il dipinto del 1818, l’irrequietezza ed il tormento verso l’ignoto, qui affrontato con la parziale spavalderia che spesso caratterizza l’iconografia heavy.

L’esordio stilisto dei S.P.I si apre con giochi balance di N°4, fulcro iniziatico di un’introduzione particolare, che supera i suoi battiti cardiaci, arrivando a ricordare i White Stripes di Seven Nation army. La traccia, senza dubbio tra le migliori dell’album, riserva una ben definita bass line, calda e profonda, ideale per costruire il pattern stilistico di un ritmo duro e granitico. L’andamento, cadenzato e rabbioso, caratterizza gli spazi espressivi di un brano che da solo vale il prezzo di un biglietto moderato, giungendo ad arricchirsi anche di piccole e gustose citazioni, per poi volare verso il tracciato di Carwash. Proprio in quest’ultima composizione la band si pone con un atteso approccio in Phil Anselmo style, dimostrando una linea di comunicazione non solo con il mondo di Vulgar display of power, ma anche con la modernità dei Down.

Se poi con Zero < /i> inizia l’elemento armonico, solido ma essenziale, definito da toniche, distorsioni chitarristiche, strappi e silenzi, con la chiusura di Never Surrender ci si avvicina a riff motorhediani, in cui la velocità d’impatto ridefinisce cambi direzionali in grado di convogliare metodiche stoner-doom verso i richiami stilistici del primo Peter Steel.
Insomma, un disco che travolge e convince…su questo non ci sono dubbi.

1. N°4
2. Carwash
3. Zero
4. Yellow like Jack
5. Never Surrender