Sula Ventrebianco “Via la faccia”, recensione

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Sula Ventrebianco, un monicker difficile da imprimere nella memoria! Concetto definibile come inversamente proporzionale alla musica che la band propone. L’impatto stoner del loro rock, infatti, si decomprime intento a travolgere le nostre sinapsi, qui arricchite di limpido e speziato rock.

La band, attiva dal 2007, rappresenta l’acrostico musicale di Moist e Kimera (ovviamente non imbarazzante duo uscito da X Factor!), oggi nei panni evoluti di questo sorprendente quartetto.

Una band sembra volersi nascondere dietro ad una cover art non molto convincente, come a voler sorprendere e colpire attraverso forme destrutturate e poliedriche di partiture in eterno movimento; un panta rei emozionale che avvolge e talvolta travolge attraverso note in cui ritroviamo implicite similitudini. Undici brani che mostrano la bulimica creatività del gruppo, intento a definire e poi ridefinire tracciati mai lineari, fortificati attorno ad un songwriting maturo e da una caratterizzata vocalità, reale e convincente punta di diamante del progetto Via la faccia.

Questa seconda opera si presenta immersa in sensazioni post grunge di buon impatto, intercalate verso la libertà aperta dei QOTSA, che emerge da strutture primigenie tanto genuine quanto heavy.

I suoni hanno inizio con la mescolanza pop rock – stoner di Strappi alla carne , in cui la voce caratterizzata di Sasio Carannante definisce una traccia tagliata e tagliente. Una partitura che infarcita di brevi pause riflessive si armonizza sulla allegra linearità dall’andamento Weezer. Tecnicamente interessante, l’approccio ciclotimico ci conduce alla semplicità espressiva di Run Up, in cui il drum set appare il vero valore aggiunto, definitorio approccio al servizio di un interessante aumento espressivo che ci porta all’introduzione di La peste. La struttura della track ci appare disturbante, grintosa ed impetuosa quanto una cascata di suoni innestata su di un binario iper veloce, raccontato da un enclave senza fiato, tra stoner e velato citazionismo noise.

Se poi Oca mia e Ragazza muta sono percepibili come episodi meno ragionati, l’ottimale titletrack si veste di post rock congetturato, mitigato dalle strofe che ci invitano in un mondo rock attento ad una sapiente diversificazione tanto musicale quanto lirica.

A chiudere il full lenght sono infine Denti, che nonostante l’eccessiva concessione al pop-ular, estrae convinte spezie vintage dagli innaturali allunghi, e i ritmi più intesi e rabbiosi di Scheletro, recitativo atto conclusivo di un disco distorto e pressato, capace di colpire nel segno nonostante gli alterni momenti di edulcorazione improvvisa.