Superhorrorfuck “Gore-geous Dead”, recensione

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Era il 31 Ottobre 2005 quando una band conosciuta con il monicker di Morphina ebbe un terribile incidente poco prima di esibirsi. Il mistero irrisolto della scomparsa dei quattro corpi fu da subito allineata all’apparizione dei SUPERHORRORFUCK, rock corpses pronti a salire sul palco, per dare il via ad una lunga serie di scioccanti live set.
Inizia così la storia di questi “quattro ragazzi morti” che sembrano raccogliere dal mondo del corpse paint una strutturazione scenica più vicina al primo Glenn Danzing, che alla cupezza nereggiante del black nordico. Un istinto estetico in grado di mescolare il glam all’horror punk e lo sleaze style con l’hard rock, sviluppando un interesse vintage curioso e (anche se non proprio originale) genuino.

Il quartetto arriva oggi alla release 2.5, con questo Gore-geous Dead, extended played pronto a seguire i primi due lavori imperniati di rock e humeur noir. Con questa nuova piccola fatica, torna dunque l’ormai traditional shock’n’roll, grazie all’accortezza di Logic(il)logic Records e all’Atomic Stuff Promotion, felici realtà di un mondo underground da cui si risvegliano i corpi lacerati di Dr.Freak e compagni, pronti a dar voce a nuove rivelazioni.

Ad aprire le macabre danze è Death because us il cui evidente impatto sonoro, pur mancando di una certa profondità sonica si presenta sotto le sembianze di un brano corposo in cui la mescolanza piacevole di glam rock si adagia sul mondo Misfist trasportato dalla voce cartavetrata del frontman, resa orrorifica da intarsi espressivi vicini al primo Steve Sylvester. Il battere grezzo della batteria alimenta poi una distorsione chitarristica che si fa solo nell’intento di chiarificare un velato punk rock che si fa easy listening in Voodoo Holiday.

Il rock di stampo statunitense si avvicina poi a una linea direttrive alquanto frastagliata, in grado di strizzare l’occhio ai furono Twisted Sister (Down at the graveyard) e ad un heavy rock (Ante-mortem Pictures) sporco ed imperfetto che rendono il disco degno di essere acquistato a fronte di quella fastidiosa e artificiosità dell’era digitale, dove tutto appare.

Un disco diretto e fondamentalmente street-core capace di introdurre l’ascoltatore in un mondo pop-punk che, pur concedendo qualcosa di troppo all’easy listening, si assesta in maniera inusuale attorno alla voglia di espressione musico-teatrale, senza ricercare boriosi tecnicismi o sperimentalismi fini a se stessi.