The Mars Volta – The Bedlam in Goliath

The Bedlam in Goliath

Resta un senso di incompiutezza quando si ascolta questo “The Bedlam in Goliath”, dolorosamente opposto alla sensazione che si provava nel caso dei lavori precedenti “Frances the Mute“, “De-Loused in the Comatorium” ed “Amputechture”. La differenza sostanziale, a mio parere, sta nell’approccio. Se nei primi due dischi il cammino intrapreso dal duo partiva dagli esordi rock e post/rock (con gli At The Drive In) per andare a mescolarsi con certe venature prog, partiva dal “semplice” per guadagnare lungo il percorso in ricerca, complessità (anche auto referente, ma mai snob) e introspezione, dal terzo “Amputechture” sembra esserci una de/evoluzione, un ritorno a certi parametri rock (a volte pure punk…) che strizzano sicuramente l’occhio più al pubblico che alla ricerca.

the mars voltaIntendiamoci, non sto qui a fare discorsi retorici ed adolescenziali dicendo che il gruppo si è svenduto o roba del genere, sarei ridicolo! Non sono e probabilmente mai saranno, un gruppo da classifica! Semplicemente dico che alcuni intermezzi (per alcuni) interminabili di sintetizzatori analogici e chitarre effettate che ricodavano King Krimson e certo Kraut Rock non ci sono più, e di questo mi dispiaccio (non è un caso, credo, se su wikipedia i Mars Volta siano etichetatti come gruppo prog rock). Diciamo che ho deciso di dire PRIMA quello che non mi piace…

Il disco non è brutto, anzi, è un OTTIMO lavoro, suonato con la maestria di sempre. Cedric Bixler-Zavala, Omar Rodríguez-López, e gregari vari (e tra questi niente popò di meno che John Frusciante) ci regalano ancora brani tiratissimi sorretti da poliritmi anfetaminici, ed inframmezzati da armonie lancinanti, (le iniziali “Aberinkula”, “Metatron”) con la solita, meravigliosa voce di Cedric, una delle migliori, a mio parere nella scena rock odierna. E poi quel gusto meraviglioso per la melodia “pop” (“Ilyena”). Oh, loro sono sicuramente tutto tranne che pop, ma sanno inventare melodie e linee vocali capaci di insediarsi nel cervello e non lasciarlo più (questo mi proibì, all’epoca, di togliere dal lettore “Frances…” per almeno una settimana). Pop, ma non banale.

Da un punto di vista prettamente armonico, il duo si è molto staccato dai canoni latino americani, che avevano regalato colori caldi ai lavori precedenti, spostandosi invece più marcatamente sulle pentatoniche, pagando tributo a Led Zeppelin e Black Sabbath (“Goliath” su tutte), e su scale minori di gusto più europeo o mediorentale (“Soothsayer” e “Cavalettas” quest’ultima ricorda, in alcuni intermezzi di chitarra, la colonna sonora di “Dune“, scritta dai Toto).
Per gli addetti ai lavori, se si escludono le pentatoniche, la scala più utilizzata è la minore melodica… che fornisce quel tocco classicheggiante, ed una certa durezza di fondo.

live

Il disco, come già detto, è un gradino sotto i suoi predecessori, ma non nego che nell’esprimere questo giudizio, (potrebbe essere altrimenti?) sono molto influenzato dai miei gusti personali, sempre alla ricerca di cose che non siano facili da comprendere di primo acchito… certo è che offre meno sorprese, nel suo ascolto, e le dinamiche sembrano essere costanti, arrivando, a volte, a stancare l’ascoltatore.

Manca forse la sorpresa delle “prime volte”?