The moon

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Sono Partiti da Gemona del Friuli, storico passaggio obbligato tra la strada adriatica e i valichi alpini, per arrivare sotto l’ombra della Sound Management Corporation, realtà nostrana che rappresenta un embrione organizzativo, nel quale l’attività di ciascun membro è retta da un alto livello di impegno, professionalità, tenacia e motivazione. .

Da qui è iniziato il viaggio del quartetto friulano, appoggiato all’attenta mediazione della Lunatik, che da pochi giorni ha dato alle stampe il suo nuovissimo Lunatics, full lenght incisivo e diretto, direzionato verso un animo brit pop, tanto esornativo quanto citazionista.
A questa impalcatura sonora si aggiungono sensazioni sixties, virate proto punk e spezie hard rock immerse nel sempre aperto intento di armonizzazione sonora. Non ci sono molti colpi di testa in questo disco, come non si trova la perfezione, ma piuttosto la determinazione espositiva che a tratti riduce l’accuratezza espressiva tra inevitabili alti e bassi.

La band, capace di curare ogni passo produttivo del disco, si porge all’ascolto in maniera diretta, nascondendo finezze ed idee che emergono solo dopo un attento e continuato ascolto di un disco che cela già nella sua cover art graffiata l’amor vintage del passato rock. Infatti proprio come i dischi vissuti, la copertina offre nel suo minimalismo retrò, un approccio (per certi versi fuorviante ma) d’impatto legato alla semplicità, perfetta metafora delle ferite sonore procurate dalle 10 veloci tracce dell’album.

Ad aprire il platter è Rose in the land of tears, introdotta da una chitarra ritmica portante, elemento essenziale per il battesimo sonoro di questo debut, che sin dalle prime battute propone in un declivio di accordi atto a maturare nel battere di Summer. Semplici sviluppi di dolci riff pompeggianti, che trasportano la voce immersa in un groove che sarà amato da Oasis e Pulp fun, ma che potrebbe (a sorpresa) piacere a chi non è forzatamente immerso nel genere reso popolare dai fratelli Gallagher. Il brano raccoglie spensieratezza pop post punk, facendo emergere reminiscenze molto Liquido, per poi trasferirsi sui differenziati registri di Take care, ottimo brano, che senza soluzione di continuità si porta su un binario classic rock.

Poi, con Standing in the sky un gentile giro di note viene raccolto dal ben cadenzato drumming, anticipando l’aria sixties di Long day, la vena pop punk di I Just wanna fly ed il rock di Tetris, tra le migliori tracce del disco, proprio grazie al suo impatto sonoro e la sua debordante grinta che non emerge dalla californiana Normal people, episodio meno a fuoco di questo Lunatics.

Insomma un disco che di certo sarà apprezzato da chi ha amato e ama l’Inghilterra del Royal pop, ma che può essere con i suoi deliziosi difetti un viatico per arrivare ad ampliare un target altrimenti settario e troppo definito.