The shipwreck bag show – KC, recensione

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Ritorniamo sui nostri passi e dopo qualche tempo rieccoci a parlare della Wallace records, immarcescibile fucina di talenti alternative noise, free e underground. Inutile aggiungere che tutti colore che si avvicineranno alla realtà patrocinata da Mirko Spino, sa ormai da tempo di dover essere pronto a nuovi territori e aperto a visuali spesso non troppo orizzontali. Questo mese il nostro viaggio ha inizio con il solito e solido punto fermo che risponde al nome di Xavier Iriondo, smisurato musicista senza frontiera oggi immortalato assieme a Roberto Bertacchini per The shipwreck bag show “KC”.

L’iperattività sapiente della Wallace record propone un interessante opera terza dei The shipwreck bag show, ensamble d’elite capace di coniugare rockeggiante noisescore con un ermetismo lessicale pungente, sardonico e metaforico, vicino per certi versi all’arte dell’Haiku, ovviamnebte non tanto per le argomentazioni trattate quanto per l’arte della grande sintesi di pensiero e d’immagine metaforica atta a sviluppare sentieri celebrali e sensazioni (a)rmoniche di vita vissuta.

L’album è pervaso da un rock blues destabilizzato e spiazzato, di certo non troppo ancorato ai canoni di easy listening, che viene desertificata ulteriormente proprio a causa di un songwriting apparentemente surrealista e alquanto difficoltoso da definire nel suo intratesto.

Il folle giro nella giostra musicale del combo ha inizio con il disturbante proto metal noise di “Siete solo tv”, in cui la partitura si fonde piacevolmente con la particolare vocalità dell’ex Sinistri che a tratti appare ispirato nella sua narrazione tormentata da Mastro Lindo Ferretti. Il brano di apertura si materializza attorno ad un virale attacco contro la massmediaticità imperante, configuranto tra le sillabe una concettualità televisiva senza speranze di salvazione. La disarmonia contemplativa matura nella batteria free noise e pazzoide di “Azioni/reazioni” delirio oscuro che colpisce e stordisce al pari della distorta “Dentro la casa”, in cui l’inquietudine dispersa si respira attraverso i 4 minuti della traccia. Il drumming spezzato accompagna una sonorità spacebeat di ottimo influsso. L’ossatura delle tracce, al di là delgli overlay fantasiosi e inusuali, racchiudono in sé il vecchio blues ed il rock classico, basta ascoltare lo scheletro compositivo della minimalistica “Venite spiriti”, in cui il grammofono non fa altro che rinvigorire il sapore retrò necessario all’inevitabilità degli eventi fagocitati dall’oggi. Non mancano meppure alchimie sintetiche e minimal come in “Kc’s Merry –go-around” meraviglia di noise strumentale, in cui le venature tribal fungono da anthem alla conclusiva e paranormale “Capitani Coraggiosi” in cui il duo si porge all’ascoltatore in tono di mesta sfida lessicale. Una narrazione Offalgatica capace di aprire le porte in maniera da permettere di percepire come l’illusione della realtà sia (forse) meglio.