The way of purity “Biteback”, recensione

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Forse sarà solo marketing, forse no… ma tutti coloro i quali si avvicineranno a Biteback hanno il dovere di fugare questo dubbio ben prima di imboccate la via della purezza. Una purità professata in maniera caustica, terrorifica, inusuale e antropomorfa, attraverso un delirio compositivo che, partendo da un death metal velato di black, ci percuote per mezzo di un inconsueto shock visivo ed uditivo. La band, volutamente apolide, non si racconta, non si espone neppure anagraficamente; nessun nome e nessuna reale possibilità di approfondimento conoscitivo.

Geniale.

Forse non originale nel suo insieme, ma sempre geniale. Un atteggiamento che va ben oltre all’impostazione slipknotiana, tanto è vero che alle spalle di Tiril si nascondono una serie di messaggi filosofici che, a tratti mascherati da proclami lirici, trovano il loro terreno fertile, non solo nella forma musicata, ma come vedremo tra poche righe, anche in un testo filmico che cerca di dare risposte alla storia misteriosa del quintetto. Qualcuno parlerà di deviazione, di stati alterati di coscienza, di messa in scena o di pianificazione monetaria ad impatto sociale…io parlerò solo di musica.

L’extended played comprende (ahimè) solo 3 tracce incastonate in un attraente digipack curato nella sua workart da bravo Rhett Podersoo, in quale riesce a dare corpo agli ideali della band senza scende a nessun compromesso, implodendo anzi nell’immediato con Keep Dreaming, in cui l’ascoltatore preso per i capelli viene proiettato ed immerso in un’aurea black, accatastata attorno alla voce tonante di Tiril Skardal. Tra giochi di fade in and out, si incontrano nella partitura passaggi ricercati, volti ad ottimizzare le idee, senza però mai cadere completamente nei classici clichè del genere, sviluppando infatti alternative riff propedeutici all’esplosione di intenti dettati da chitarre ipnotiche e potenti. Se poi il growling si addolcisce in parte in Eternal damnation to Renè Descartes, lo sviluppo sonico riprende per certi versi un andatura sinfonica tra istinti filosofici e ruvida discorsività metal. La sofferenza e il dolore che trasuda dal brano si concretizza poi nella chiusura black/trash di Reserve the time, in cui l’approccio sinfonico si unisce alle nuove tendenze metalliche propinando un blast beat rude ed interessante, atto a definire la drammaturgia di un brano ben riuscito, in grado di formare spezie industriali, tra rumorismo e note tecnocratiche. Un brano alquanto filmico che potrebbe ben apparire nella ost di Saw

A differenza del disco invece un po’ meno convincente appare il dvd A Passage through the purità of pain , non tanto per la presa artistico-recitativa, quanto per una scelta stilistica impoverita dalla fotografia tutt’altro che atmosferica. Un velo di inquietudine che soprassate lo spettatore perso tra le curve sensuali della misteriosa donna, non riesce a tramortire, nonostante intuizioni narrative che avrebbero potuto spossare la quiete degli astanti, grazie ai suoi flashback metaforici ed ai suoi sviluppi filmici, che mostrandoci un’angosciante verità orrori fica, sembrano nascere da crepuscolari idealizzazioni del primo Raimi.