Upanishad “Crossroad”, recensione

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La Red Cat Records torna a far parlare di sé con un nuovo album, permettetemi di dire banalmente: imperdibile. Un viaggio lungo undici tracce, tramite il quale perdersi nei tre vertici di realismo-surrealismo-iper realismo. Un percorso ciclotimico, in cui l’aspetto narrativo e contenutistico si abbracciano a quello emozionale, perseguendo un sentiero che ha inizio proprio con la straordinarietà pittorica di Elisa Buracchi, abile nel definire un’artwork molto vicina all’immaginifico di H.G.Wells.

Il trio fiorentino, anelando alla verità trascendente, attraverso l’ascolto, sembra proporre una realtà musicale composita e destabilizzante, il cui battito vitale della quattro corde va ad allinearsi al delicato sbocciare dei piatti, ai riffing distorti e alla rockeggiante vocalità di Vanni Raul Bagaladi.

L’universo degli Upanishad ha inizio con un impeccabile brano dal titolo Look at you, anthem illuminato e per certi versi illuminante. La traccia d’overture, infatti, appare come specchio reale di un mondo ricco di livelli, in cui la libertà di movimento e le idee si mostrano come radici di un DNA rock, inteso nel senso più ampio del termine. I movimenti del basso (che tanto potrebbero piacere a Steve Harris), offrono il giusto pattern per la narrazione, invitandoci a vivere un mondo estraneo alla realtà. Così accade nella claustrofobia This room, caratterizzata da cambi direzionali e giochi sonori pronti a percorrere un tempo musicale alquanto trasversale (Crossroad).

La complessità strutturale appare voler abbracciare l’ascoltatore attraverso sensazione differenti, reverberi ed eco di generi anche molto lontani tra di loro. Un dedalo sonoro che continua con le esplosive Feelings e Connected, vere e proprie bombe sonore con le quali appare impossibile rimanere inermi. Le composizioni distorsione e i dialoghi tra toniche ci portavo poi gradatamente nel mondo P-Funk di The Uplift Mofo Party Plan , per poi indurci a giocare con i suoni visionari di The River e No way out, in grado di mostrare l’ottima capacità espressiva di una band che da Firenze deve riuscire a valicare l’underground per storicizzarsi, perché in pochi riusciranno a farlo… e loro ne hanno le giuste capacità.