Wallace records: novità gennaio 2010

wallacenew

Con il nuovo anno consolidiamo le antiche collaborazioni come quella orami piacevole e solida con La Wallace record di Mirko Spino, pronto ed attento nei confronti di quelle location (iper)alternative che negli ultimi anni hanno avuto certo una maturazione compositiva di valore. Tra le cosiddette last release ritroviamo Leg Leg, Runi e Squarcicatrici.

Leg Leg
“Manta”

cover

La bellissima cover art di Manta nasconde il trittico musicale composto da Riccardo Ceccacci, Mattia Coletti e Andrea Giommi. Les artistes, membri dei Leg Leg, riproducono un classico power trio di stile, capace nel creare attorno alla sua inventiva, un groove ossessivo e nevrotico, quanto in potere a quotate band quali Neurosis e (per certi versi) Isis.
Anche se il terreno fertile in cui il combo anconetano coltiva le proprie note è più vicino al free noise rock, il disco non nasconde esuberanti forze cinetiche. Le sei tracce viaggiano su singhiozzi sincopati e indubbi scambi tra batteria e chitarra, attraverso una costruzione sonora vicina al jazz d’elite, ma che ritrova in sé accrescimenti rock, prog ed ambient.

L’opener “A roof in spring” ci introduce nella selva di riff strappati e scrupolosi, tra le velocità esecutive e depressive slow. I ripensamenti melodici con i cambi di direzione da un lato e l’inerpicante sonorità ossessiva, fanno da padrone nella titletrack, in cui nonostante un continuo cambio d’abito, risulta emergere un interessante collage sui generis. All’interno delle partiture, nonostante la brevità del cd, ci si riesce a smarrire come accade nella trance ipnotica dell’outro di “Manta” o nell’arte compositiva di “Ibis”, in cui un oriental techno si appoggia ad un impalcatura ridondante, che respira minimalismo e tradizione. A completare il quadro spezzato, interviene l’ermetismo breve di “A Bunch of butterflies flying around a stone”, gustoso episodio di giocosi silenzi e whitenoise, e la conclusiva “Telephone rings from the hand of summer”, un ensamble di note a pioggia, spinte da un vento elettronico-minimalista, che chiude un album degno del rooster wallace records.

R.U.N.I
“Rrrruuuunnnniiii”

cover

Quanto tempo è trascorso da “Ipercapnia in capannone K”!? forse troppo, forse poco, ma il tempo nella musicalità dei R.U.N.I ha poco valore, perché una volta entrati nel loro futuristico e grottesco mondo, l’orologio si ferma, talvolta avanza veloce, torna indietro, arrivando a giocare, scherzare, compatire, accogliere, sorprendere e squilibrare in una sorta di dicotomia evolutiva, tra realtà offuscata e irrealtà concreta.

Oggi la band milanese torna con il suo estro compositivo, attraverso le 10 tracce di “Rrrruuuunnnniiii”, folgorante delirio musicale che pervade l’ascoltatore con le sue note curiose sprigionanti emozionalità e divenire.
Ad aprire il nuovo disco è l’ottima sonorità de “L’uomo che morisse due volte”, citazione ironico-filmica appoggiata su sfondi noise e linee vocali ipnotiche, che omaggiano quella new wave darkettara di inizi anni ’90, assestandosi tra cupezza ed electro-beat.

Chi ben comincia è di certo a metà dell’opera, ma prima del giro di boa, non si possono non notare i lieti episodi di “W”, antisocial post punk, e “Pranzo da Dio”, sarcastica filastrocca electro punk, ciclica e circolare in cui la parte vocale, a tratti invasiva, ci trasporta nell’avangurdia compositiva degli anni 70. Il percorso segnato ci porta a vivere prima il giocoso country dialettale, chiaro attacco nei confronti del populismo musicale, e poi l’industrial noise di “Jesus Christ sugostar”. Quest’ultima è di certo annoverabile tra i brani migliori del full lenght, in cui le sonorità senza compromessi ed in songwriting bizzarre si amalgamano ad una sezione ritmica sopra le righe. Un brano che nonostante il suo moto ondulatorio, finisce per tornare verso l’ossatura magnetica impostata tra surrealismo e stoner.

“Rrrruuuunnnniiii” è senza incertezza un buon disco alt-noise, che ha il pregio di provare a vincere le sfide che si propone, come accade nella bella “I-205 in ascona”, che con la sua a-rmonia, raccoglie tutti gli ingredienti necessari ad un disco R.U.N.I”

Squarcicatrici
“Squarcicatrici”

cover

Il monicker scioglilingua Squarcicatrici, non è solo il nome dell’eclettica band apolide, ma è anche il titolo omonimo del secondo disco dell’ensamble world music, formato da elementi di rilievo tra cui spiccano Enrico Antonello, Piero Spirilli, Thollem McDonas ed Erwan Naour, compositori audaci di 12 tracce meltin pot, capaci di fare il giro del mondo in poco meno di un ora. Un disco che raccoglie i semi del jazz, della pathcanka, del folk, maturati e deviati senza preavviso in musica balcanica ed etno, proposta senza soluzione di continuità attraverso un iter che curiosamente non sorprende ma coinvolge a tratti.

L’album, accompagnato dal saggio “Preto são todas as cores, branco é ausência de cor!”, si apre con le tribalistiche note mozzate di “Afrotellacci”, spinte verso un moderato groove dalle sonorità spigolose ed un free sound arido e poco convincente, a differenza di “Macedone”, in cui la fisarmonica dell’est ci trasporta in una danza kusturicana collocata tra peloponneso e antica polveriera d’Europa. L’elettronica invade la francofona “Sans Races” che ricorda per certi versi il lato più alternative dei “Noir desire”, evoluto verso il caldo suono della tromba di Antonello, con il suo ritmo andante, disturbante ed ossessivo.
Il sentiero etnico percorso dalla band, tende anche a raccoglie polveri proto prog (“J’ai faim, Jessie”), che finiscono per (in)volvere verso facili ritmiche sudamericane, i cui estetismi si palesano in brani come “Carota”.

Insomma un disco che ha il pregio di raccogliere intuizioni oltre la linea di confine, ma ha il demerito o i limite di raccontare senza riuscire a cogliere spunti essenziali, perdendosi in una destabilizzante e confusiva forma narrativa, che dona e toglie al medesimo tempo.