Will’O’Wish Mot, recensione

Ho tra le mani un disco nascosto da una sovra-copertina priva di chiari riferimenti. Una copertura che, come un antico sarcofago, aa a dischiudere i segreti di un Death Metal dagli influssi progressivi, in cui la tecnica (notevole) si impreziosisce di inusuali sonorità (marimba, viola, archi, viole…) al servizio di un concept che richiama in parte le intuizioni estetiche e narrative degli Ecnephias.

La band, promossa da Nadir music, arriva dalla Superba spinta da ben 5 lustri di passato concreto, riesumato nel 2008 da Paolo Puppo deus ex machina del progetto genuense, qui pronto a donare il proprio sguardo verso un mondo proto-cananeo intriso di caos e male.

Vi saranno (comunque) sufficienti i primi 15 secondi della nuova release per innamorarmi di questa straordinaria opera. 15 secondi di disturbante aria insalubre, in grado di riportare alla luce e stilemi speed thrash di stampo teutonico, intercalati tra rigurgiti death e influssi epici, in cui trovano posto cambi tonali ed evocativi gorgheggi orrorifici di una “pestilenza” che lascia pochi spiragli alle perdute speranze.

Il sottile ed iniziatico filo rosso non perde mordente invitandoci sugli ori di Throne of me Mekal, impeccabile con il suo sdoppiamento vocale pronto ad offrire colori narrativi che si deformano sotto il giogo prog di Seven, chiusura di primo atto in cui il songwriting appare (solo a tratti) perfettibile.

I suoni, chiaramente ispirati nella sua seconda parte a strutture di tipo classico, offrono uno sguardo alle antiche civiltà, attraverso il drammatizzante uso di timpani, ideale per spezzare il DNA di una traccia composita e ardita in cui trova a posto la sei corde di Tommy Salamanca. La narrazione prosegue poi con la mescolanza di battiti brutali e tecnicismi Heavy di Rephaim, pronta ad aprire gli orizzonti verso la follia terminale di All of Dead kings.

Tra le composizioni più interessanti del full leghth sento di dover citare la perfezione espositiva di Banquet of eternity, visionaria e ardita non solo per l’utilizzo funzionale della voce soprano di Benedetta Torre, ma anche per la struttura descrittiva composta ed originale quanto gli stop and go di Descending To Sheol, in cui vivono inusuali ma evocative intuizioni.
L’album, arricchito da un ottimo booklet in cui immergersi nonostante la non ottimale leggibilità, chiude le polveri del passato con il suo terzo ed ultimo atto attraverso quattro vertici spigolosi e devastanti in cui l’asprezza vocale di Those of the annihilation (maestosa composizione) va ad unirsi alle iniziali reminiscenze pseudo voivodiane di Kavod e alle complessità barocche di Reign of fire, fino ad approdare all’ennesimo climax espressivo con Mlkm. La traccia finale, infatti, mostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la creatività e la tecnica di una band in grado di sfornare un album visionario filmico coraggioso, perfetto nel raccontare felici intuizioni di un mondo in cui perdersi.