Zurzi “Mocchoosetty lovers”, recensione

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Partiamo dal fatto che la bruttezza della cover art di questo Mocchoosetty lovers è inversamente proporzionale all’espressività musicale proposta da Zurzi… e la copertina (a mio modesto e sindacabile parere) è davvero brutta!

Il progetto Zurzi nasce dalle idee di Daniele Zurzolo, volto noto dell’underground torinese. Infatti, l’autore, arrivato al suo primo disco da solista, ha, dietro le proprie spalle, esperienze sotterranee con Brokensparks 69 e Villasonora, note band orgogliosamente fuori dal circuito main.

Il cantautore, coadiuvato da Andrea Ciuchetti, Paul Zogno, Matteo Demarchi e Kholeho Mosala, ha voluto convogliare gli archetipi verso la MTM Metamorfosi Edizioni Musicali di Carmen Villalba, portando con sé un carico di rock cripto alternativo, vestito di pop, soul e british.

Il disco, definito da Ciucchetti come “pestifero ed immaturo”, porta in dote ben 4 official video, curati e divertenti; visioni stralunate di un mondo sonoro ben definito da Ciao, in cui la chitarra introduttiva sembra voler strizzare l’occhio al surf d’oltreoceano, per poi assestarsi tra rock di stampo classico e citazioni stilistiche in perfetta armonia con la linea vocale, pronta a giocare su livelli di lettura diversificati. Una traccia diretta e piacevole, che fonda il suo ego su emozionalità vintage e rimandi retrò. Proprio la vocalità del frontman appare il vero e proprio timbro di fabbrica del project, adatto a riletture di spazi musicali sui generis, che arrivano ad avvicinarsi al mitologico Freak Antoni (Di notte), manovrando su sensazioni immerse in corde blues e inattesi risvolti pop.

L’animo scomposto di questo Mocchosetty lovers, sembra emergere dalla narrativa Cruel Baby e dalla deliziosa Il cabinotto rocker, anima libera e divertita, che trova le sue spezie nel rock rossiano, qui intriso di semplicità e accorta diversità, satura di rimandi mediterranei e festaioli, immersi in una velata patina di melanconia.

Se poi con Addio, sussurata ballad, l’autore sembra perdere la giusta verve espressiva, tra i migliori episodi del platter troviamo il piacevole sapore indie pop di Che ti dovevo dire, da cui affiorano le note del sax, punto di appoggio al servizio di un ragionato ordine imposto dalla sezione ritmica, su cui vengono ricamati intrecci urbani, atti a trovare il proprio vertice in Mancavi solo tu, geniale rock imbrattato e fuori dal tempo, proprio come questo debutto che sarà anche immaturo, ma appare sotto le vesti di una buona ventata d’aria fresca.