Afterhours live in Genova

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Come ogni anno, dopo l’estate arriva l’odiato-amato settembre, decantato anche nell’ultimo disco dei Green Day che, con la loro “Wake me up when september ends”, vorrebbero risvegliarsi dopo quei giorni che per molti rappresentano il triste ritorno alla realtà lavorativa.

Però, il mese dell’inizio climatico dell’autunno, porta con se anche felici note che aiutano a superare la sindrome da rientro. Tra queste, rientra a pieno titolo l’ormai tradizionale festa dell’Unità, che in questo 2006 ha offerto al pubblico live gratuiti come Dolcenera, Gem Boy, Cristicchi, Mondomarcio, e show sottocosto che hanno portato pubblico ed entusiasmo, nonostante i mugugni di chi si aspettava qualche grosso nome.

A riempire l’accalorante padiglione c della fiera del mare ci hanno pensato gli Afterhours di Manuel Agnelli, uno dei personaggi più influenti della scena alternative italiana. La band festeggia proprio in questo anno il ventennale, tornando alle origini, almeno per il mercato europeo e mondiale, con il cantato inglese che l’ensamble lombardo aveva utilizzato per gli esordi. Ma fortunatamente il live in Genova porta elegie italiche, senza dare peso alle traduzioni anglofone, ormai poco adatte ad un pubblico che ama musicalità e testi tanto immediati quanto comprensibili.

Il live viene aperto da Marco Notari, talentuoso musicante le cui sonorità Verdeniane saranno a breve recensite sulle pagine di Music on Tnt. Notari convince con i brani estratti dall’ultimo lavoro “Oltre lo specchio”, riuscendo a rapire sin da subito il pubblico con un sound prettamente indie, che sfocia verso un post grunge dall’intenso impatto sonoro.

Mentre scoccano le 22.00, il caldo assordante sfianca i presenti che combattono per guadagnare le prime file. La battaglia da i suoi frutti, anche perché la non perfetta acustica migliora nettamente nella prima zona del parterre. Agnelli e Prette sono i primi a salire sul palco, la batteria inizia a pestar duro per l’intro di “E’ la fine la più importante”, dalle cui tonalità emerge sin da subito la magnifica ed impeccabile voce del frontman, che si alterna ai laceranti riff di Ciccarelli.

La musica viaggia sui binari di “Ballate per piccole iene” con “Il sangue di Giuda” e “La sottile linea bianca” il cui ridondante giro armonico viene scandito dal clapping hands del pubblico, mentre il clarinetto basso e il violino emergono come perle aggiunte ad un arrangiamento pressoché perfetto. L’adrenalina lascia il posto ai primi brividi nella schiena, con una delle più belle composizioni della band “Non è per sempre” che, con la sua poetica dolce e cinica si unisce a “Milano circonvallazione esterna”, inaspettato tuffo nel passato che diventa coinvolgente con la geniale e maleducata “Sui giovani d’oggi ci scatarro su”, durante la quale Agnelli non manca di esprimere il suo lato punk, espellendo abbondante salivazione verso l’alto.

L’aria velvetiana, amore mai troppo smentito dalla band, viaggia nell’etere con “1.9.9.6” e mentre qualcuno avvista Davide Toffolo dei Tre allegri ragazzi morti tra il pubblico, la band delizia i presenti con un duetto a quattro mani al pianoforte, che anticipa il bis dal quale rimangono “Quello che non c’è” e “Bye bye Bombay”.

Il gran finale è però imbastito tutto attorno ai tre accordi di “Male di miele” che anticipano l’accensione delle luci che illuminano visi soddisfatti come al solito, dalla performance di una band che ha il successo che si merita.