Hardcore punk italiano anni 80, recensione

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Tutto ebbe origine da un paio di pantaloni rossi di Malcom Mclaren, deus ex machina della più grande truffa del rock’n’roll. Un momento storico che ebbe inizio nel magico 1977 in quella Londra con la cresta, che iniziava, complice l’ambiente socio-politico, a germinare una nuova subcultura, fatta di pochi accordi, nichilismo e scombussolante urgenza di scioccare il perbenismo britannico.

Anche se per alcune correnti sociomusicali il punk vero e proprio ebbe inizio oltreoceano, l’autentico e genuino spartiacque del genere è ancor oggi considerato il non-concerto dei Pistols al Saint Martin Collage. Da quel momento il punk non è mai morto, evolvendosi, devolvendosi e mutandosi in diversificate forme espositive, che hanno avuto nei loro sentieri un approccio estremizzato, tipico di molte sottoculture. La politica, la società e la no future philosophy sono state solo alcune briciole di un movimento musical-estetico che è stato capace di trascinare con sé idee e cambi direzionali, che hanno visto la maturazione di street, anarco, straight edge e hardcore.

Proprio di Hc si occupa questo curioso Hardcore, volume edito da Crac Edizioni, che, grazie alla penna di Diego Nozza, stringe il cerchio attorno al punk italiano negli anni 80, proprio nel fresco periodo in cui, con i consueti tempi differiti, l’onda d’oltremanica giunge nei focolai sparsi nel territorio italiano.

Il viaggio nella derivazione sonora e discorsiva del HC è rappresentato da un infinito elenco di band che hanno avuto un ruolo da protagonista (e non) della scena italiana, attraverso un infiammato periodo sociale in cui, finiti gli anni di piombo, si cercava di combattere per i propri ideali, arrivando a superare quel nichilismo autolesionistico del primo punk.

L’ambientazione è quella dei garage, delle topaie e dei primi centri di aggregazione giovanile, primo fra tutti il Virus Milanese, attorno al quale mondo punx Philophat racconta il suo Costetti a sanguinare.
Il tour scrittorio attraversa con rapidità esecutiva centinaia di gruppi, allineando semplici comparse come Aarm, Nagasaki e Soggetti Socialmente Pericolosi, a mostri sacri come Negazione, Raw Power e Klasse Kriminale. A questo mondo altamente connotato da Bootz e creste appaiono poi mitologiche band non considerabili appartenenti in senso stretto al movimento, ma che in un modo nell’altro hanno aiutato questo mondo ad emergere, prendendo una direzione ben precisa. Tra le citazioni più interessanti ritroviamo infatti il modus operandi degli Skiantos e Cheetah chrome motherfuckers, che si manifestano in una realtà che anche nei suoi anni migliori ha vissuto del D.Y.S, attraverso le prime autoproduzioni e la difficoltà di andare oltre ai 7”.

Un libro che garantisce un curioso insieme di citazioni e foto di riferimento, ma purtroppo pochi aneddoti. Le informazioni talvolta sommarie non fanno altro che acuire la voglia di sapere, pur offrendo una finestra da cui guardare incuriositi, attraverso vinili e ricordi rinverditi dalle nuove ondate che si vanno ad aggiungere alla storia sotto l’egida delle terza generazione.

Insomma un libro essenziale per chi in un modo o nell’altro ha vissuto punk, e un’opera per tutti quegli adolescenti che si sentono punk ascoltando Green day… senza sapere neppure di che cosa si stia parlando!