Mogway

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Sotto un oblungo palazzo del centro milanese, attorno alle 21.00 iniziano ad assieparsi cricche di persone d’ogni tipo.

Voltandosi per curiosare si possono notare in pochi metri quadrati socio culture urbane molto divergenti tra loro; c’è il punk, il dark, l’impiegato con giacca e cravatta, c’è il B-boy accanto al rasta, persino qualche metallaro della prima ora.

Cosa può unire tante generazioni così diverse? La risposta potrebbe essere filologica, antropologia o psicosociale ma perderebbe forse la veemenza di una sentenza grezza e semplice: il collante in questa tiepida serata ambrosiana sono i Mgway.

La band scozzese, ormai attiva dal 1995 arriva in Italia per una serie di date che sanno di evento. L’attesa è molta alta all’interno dell’accalorata platea ottagonale del Rolling Stone, storico locale del capoluogo lombardo capace come sempre di offrire ciò che c’è di meglio all’interno del panorama alternative contemporaneo.

Alle 22.00 circa si spengono le illuminazioni e una serie di luci a cascata inonda il palco come dolci note, che in una sorta di catarsi musicale, rapiscono lo spettatore con il loro sound tipicamente post-rock.

Anche in questo caso, proprio come durante i live di band come Sigur ros e Giardini di mirò, entrambi figli legittimi del quintetto di Glasgow, non ha molta importanza la scaletta dei brani. Il flusso sonoro avanza con ciclotimie continue, senza soluzione di continuità alternando momenti ambient, tanto intensi quanto leggiadri, a spazi jazz, fusion ed atonici, capaci di aprire la finestra sul mondo krautrock.

Il live si snoda attorno all’ultima opera del gruppo “Mr Beast”, forse meno visionario e ipnotico del recente passato, ma senza dubbio un esplicito monumento al malinconico romanticismo attuale, talvolta rabbioso, talvolta melò.

Mentre il folto pubblico ondeggia sulle linee ritmiche di Aitchison e Bulloch, in perfetta armonia con l’umoralità della triade Braithwaite-Cummings-Burns, appare naturale far riaffiorare alla mente un suono alla Godspeed You!Black Emperor, maestri nel noise post rock.

Dopo due ore di musica a pieni polmoni, il classico bis chiude un concerto che nonostante l’ottima acustica del Rolling Stone, appare avere una scenografia troppo rock rispetto al noir sound proposto dagli spartiti dei Mogwai; forse all’interno di una location più aggraziata come potrebbe essere una villa ottocentesca o un importante teatro…forse il concerto avrebbe potuta dare un qualcosa in più.