“Storia del Metal a Fumetti”, Enzo Rizzi, recensione

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Una mascella volitiva che farebbe trasalire Cesare Lombroso, piercing ai capezzoli, barbetta mefistofelica, smalto nero e capelli lunghi sulle spalle.

Ecco i tratti caratteristici di Heavy Bone, inquieto zombie, fetido killer delle rockstar, misterioso ed horrorifico protagonista di questa Storia del metal a fumetti , che giunge alla terza meritata ristampa, arricchita da una triade di storie inedite, i cui disegni di Nathan Ramirez, partendo da un pretesto musicale, esprimono gli stilemi classici del “sex, drugs and rock n’roll”.

Il demone protagonista delle vicende, condannato a tornare sulla terra per un inevitabile contrappasso, si ritrova a fare i conti con le proprie inquietudini e con un’insita violenza che detta l’alternarsi di gustosi aneddoti e curiosi rimandi al mondo heavy, pronti ad accompagnare il lettore in un viaggio intercalato tra tracciati onirici ed irreali, qui alimentati da magici riferimenti Goetiani.

Nonostante le tre avvolgenti graphic novel di questa nuova edizione rappresentino un indiscusso elemento aggiuntivo, il reale corpo espressivo dell’opera si ritrova ancora nel percorso storico narrativo, in cui la storia del metal viene raccontata da Bone, pronto a demolire la quarta parete, per accogliere i lettori tra le note forgiate nel metallo. Inizia così un lungo itinerario tra ricchissimi tavole, in cui il verismo grafico, non troppo distante dalla tecnica del rotoscope anni 80, ci introduce band come Kiss, Judas Priest, Ac/dc, Megadeth, Pantera e Motorhead, arrivando a coprire il lato brutale con i Cannibal Corpse, aggiunti in questa nuova versione assieme a Death SS, Kyuss, Dream Theater e Rammstein.

Le pagine, caratterizzate dai tratti decisi, offrono un veloce resoconto biografico, che pur nascondendo alcune scelte inusuali (Nirvana e Kyuss) riescono a narrare con precisione e sintesi il mondo metal, nel quale Heavy Bone si inoltra vestendo i panni di Eddie, le borchie di Kerry King ed il trucco di Gene Simmons.

Un volume che, da un lato non risparmia inevitabili critiche al percorso artistico di alcune band, dall’altro riesce con naturalezza a superare un incrocio stilistico tra i flyer underground della golden age ed elementi estetici tipici dei balloon d’oltreoceano, giungendo ad offrire un’opera imperdibile per tutti gli HMK là fuori.