0933Alos Yomi, L’Oscura Terra dei MortiRecensione

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?Alos è tornata, diversa da prima, forse più cinica e nefasta, sicuramente meno immorale e volatile. Questa volta la signorina di Bar La Muerte decide di scendere negli inferi dello Yomi, oltretomba della cultura giapponese, in cui i morti imputridiscono indipendentemente dalla loro condotta di vita. Proprio all’interno di questa oscurità infernale l’autrice del project solo decide di rivisitare il suo passato recente attraverso il side A di questo nuovo 10’’, bridge inevitabile tra il passato ed il futuro prossimo. Sotto questo ponte quasi non esiste il “qui ed ora”, non esiste il presente perché tutto scorre senza trovare pace e senza trovare riposo.

Il viaggio alienante e fuggente inizia con Fili di Capelli, che come da aspettativa si concretizza attraverso un loop irrequieto assestato tra space noise e picchi di note orrorifiche. La voce di ?Alos, sempre racchiusa in quel giardino degli orrori da cui non riesce o non vuol a uscire, risulta funzionale strumento, climaticamanete fagocitato dal meccanismo industrial, che simula ancora una volta quella vita moderna nel quale è talvolta necessario urlare. Buona appare poi la staticità del riff e dell’outro di chiusura, sempre più bianco e sintetico, tanto da ricordare i vecchi canti ascoltati nei tristi campi di cotone, in cui lo strazio narrativo è qui sostituito dalla teatralità vocale di Stefania Pedretti.

Non esiste presente…infatti il percorso è già proiettato sulla seconda traccia Taglio, meno aperta ad un lontano ottimismo, in cui la gracchiante e talvolta disturbante vocalità è racchiusa ancora in quella fabbrica tessile rappresentata da Ricamatrici. Una lama roteante taglia il suono gocciolante tra tubi metallici e futuristi echi. Ipnotica come di consueto, la traccia risulta per lo più terrificante quanto un film del terrore che coglie lo spettatore nella sua tranquillità, riuscendo nell’intento di rendere una salutare epifania di thanatos.

Il Lato B di Yomi, L’Oscura Terra dei Morti racconta poi con Panas di un destabilizzante gioco sonoro di in and out che introduce uno space noise atto a metaforizzare una malefica e nereggiante invasione, come nel più classico lungometraggio di fantahorror; un arrivo terribile e caustico, che porta l’inferno sulla terra, scrosci e masse d’aria spostate. La sonorità della traccia tre avvolge e trascina l’ascoltatore dentro un vorticoso buco nero che sbocca all’interno di quella realtà parallela vissuta dalla signorina ?Alos.
Un lungo brano che segna una maturazione compositiva di Stefania Pedretti, in cui, rispetto ai primordi, non si ricerca più l’estetica del rumorismo fine a se stesso, ma bensì il tentativo, già in parte perseguito con l’opera precedente, di buttare l’ascoltatore all’interno del mondo ferito di ?Alos. Un brano di chiusura che racconta l’inferno con mirabile e pacata violenza, similmente all’incipit di Hell Await o alcuni passi di Black Masses, mostrando il lato più oscuro di sé, vittima di strali metalicci e electro noise d’avanguardia.

Un disco forse meno arduo da comprendere, e sicuramente diverso rispetto al passato, ma sempre un disco che va capito, ascoltato e se possibile alimentato dall’oscurità dello sguardo chiuso dentro le proprie palpebre.