Daylight Silence “Threshold of time”, recensione

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Chi segue (con coraggio) il mio scrivere, sa che le mie recensioni iniziano, in senso metaforico ma anche pratico, dall’osservazione attenta della cover art e del booklet.

Anche questa volta, pertanto, non sarò parco di critiche e complimenti, e lo farò in maniera brutalmente schematica:

cover art

La copertina appare perfetta, sia da un punto di vista stilistico, sia da un punto di vista cromatico, infatti, il lavoro di Dario Calì e Maurizio Taccioli, richiamando l’arte vetraria-figurativa, riesce a bilanciare un contrasto accorto tra colori freddi e colori caldi, da cui l’angelo femmineo sembra rifuggire, ma al contempo anelare.

Booklet

Leggibile ma scarno. Nessun disegno né photo session, solo sfondo bianco e font leggibile che vira verso estetiche epic symphonic con la calligrafia utilizzata per le titolazioni.

Photo Session

Le fotografie rappresentative si riducono ad un’unica immagine… e meno male. La foto, pessima da ogni punto di vista (lo so… sono brutale), appare poco funzionale nella sua postura fuori tempo di mezzi busti vintage. Un collage di scarsa resa che fortunatamente non rispecchia il viaggio sonoro proposto dalle otto tracce di Threshold of time.

Il disco

Un reale e al contempo onirico sentiero musicale in cui il quintetto cerca, sin dalle prime note, di valicare i normalizzati limiti di spazio e tempo tramite l’uso di una cronosfera, asimoviano veicolo in grado di spostarsi “eludendo la velocità della luce”. A bordo di questa straordinaria creazione ingegneristica salgono cinque mercenari che, una volta compresa l’impossibilità di tornare indietro, decidono di ricominciare dalla musica raccontando la loro prigionia, il raggiungimento del limite e gli inattesi sentimenti traditi. L’equipaggio dona alito alle proprie idee con l’iniziatica Power of speech, un opener in grado, con le sue note portanti, di raccontare con immediatezza l’anima narrativa della band. Il sampler e di riffing fortemente connotato pongono le basi per una vocalità pulita, dove le ottave alte sembrano guardare verso il mondo urlante di Dickinson, Halford e R.J.Dio, posti tra chorus in Manowar style, tecnicismi e idee chiare.

La buona impostazione emozionale va a confermarsi poi tra gli echi di Dreaming of freedom, derivativa composizione Hard Rock; evocativa composizione, figlia legittima del metal iniziatico. Se poi l’album inciampa nella poco riuscita Falling to the ground, si torna a parlare con maggiore credibilità attraverso le note di Someone i know, dichiaratamente legata ad un passato ormai lontano.

I vocalizzi, vicini alle doti vocali di Sebastian Bach, si voltano poi verso la Ballad Sleep e la finale Threshold of time, di certo una delle composizioni più interessanti, in cui stop and go, giochi strutturali ed armonie paiono pronte a definire i contorni di un disco che negli anni ‘80 avrebbe fatto il botto.

Se pertanto amate il sound Heavy Metal dell’age d’or… non ho dubbi: ascoltate, valutate e comprate.

TRACKLIST

01 The power of speech
02 Dreaming of freedom
03 Live as one
04 Falling to the ground
05 Making up my mind
06 Someone I Know
07 Sleep
08 Threshold of time