Eco Franco

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Questa volta La Ululati dall’Underground Record ha fatto davvero centro, accogliendo nel suo rooster il compositore poliedrico Franco Eco, autore maturato attorno a diverse tipologie artistiche pittorico-espressivo-teatrali.

Forte del proprio background Eco, armato di una buona dose di coraggio ed un pizzico di pretenziosità, è arrivato alle stampe con “Dante concert”, opera ispirata alla Divina Commedia di mastro Alighieri. Il disco, organizzato in nove capitoli, racconta attraverso le note, quelle immagini narrate dalla perfezione linguistica del Poeta, riuscendo a regalare agli ascoltatori una metaforica traduzioni a tratti esemplare.

Il viaggio agli inferi non poteva che iniziare con la ferocia illuminata di “Caronte”, traghettatore dell’Ade, introdotto da una sepolcrale overture, complementata da disumane e lancinanti urla, cadenzate da un battito incessante. Eco ha il pregio di riuscire a condurci immediatamente nei profondi luoghi infernali, mistificati dalla solennità degli archi, che una volta pagato l’obolo sull’Acheronte, ci porta d’un balzo all’interno del secondo girone del settimo cerchio, dove si “punisce coloro ch’ebbero contra sé medesimi violenta mano, ovvero non uccidendo sé ma guastando i loro beni.”. Tra le note della seconda track ritroviamo difatti Pier della Vigna, narrato attraverso un ottimo lavoro corale, che riesce a definire, attraverso una buona perifrasi musicale, l’infinita pena tra disperazione e tormento. In “Pier della Vigna” cupezza e rumorismo risultano funzionali alle partiture di stampo classico, invase dolcemente da altronica sottile ed industriale.

Un dolce pianoforte ci apre il canto V, di Paolo e Francesca, posti da Dante all’interno del cerchio dei lussuriosi. La musicalità rispecchia forse più l’aspetto amoroso della narrazione, piuttosto che il buio contrappasso; infatti la musicalità che emerge inizialmente porta con sé un alleviana leggerezza che sembra sposarsi con sentori di Yann Tiersen, tra violoncelli e flauti pronti a narrare il tormento ardente, fino ad elevarsi per poi ritornare, come in un volo irregolare di una farfalla, verso il crudele destino eterno.

Il disco prosegue attraverso le ondulanti sonorità di “Ulisse” narrata da evocativi giochi vocali e timpani dal sapore antico, che anticipano la ridondanza inquieta di “Conte Ugolino”. Un fiume di note ghiacciate si mescolano a melodie graffianti, dure e soprattutto chiuse sino al climatica ascesa di tono. Il brano nasconde però una debolezza armonica che la rende una traccia non del tutto riuscita, a differenza di “Sinone e Maestro Adamo”, racconto che ci porta tra i falsari della decima bolgia. Il riferimento è di certo meno presente nell’immaginario collettivo e di conseguenza meno arduo da definire nella narrazione musicale. Il brano definisce al meglio la ciclicità dell’ espiazione, attraverso orrorifiche armonie atte a rispecchiare la rissa incentrata sul versetto dell’epa croia. La chiusura del disco è data da “Gran finale” ispirato al canto XXXIII, che ha il difetto di essere forse troppo diluito nel suo sentore dolce amaro di teatrale chiusura, ma che comunque lascia nell’ascoltatore il desiderio di rientrare dall’ingresso, per capire meglio le sfumature di un opera che presumo possa avere una buona longevità musicale.