Emiliano Mazzoni “Cosa ti sciupa”, recensione

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Dopo qualche settimana torniamo tra le trame della Macramè, attraversando le note di Emiliano Mazzoni cantautore modenese, pronto ad affrontare il mercato con Cosa ti sciupa. Undici tracce raccolte attorno al suo autore, in grado di restituire una serie di arrangiamenti ben delineati. Un sound elegante atto a tagliare in maniera trasversale gli ultimi 60 anni di autorialità italiana, grazie a sensazioni che partendo da un modus operandi vicino a Lindo Ferretti, si avvicinano addirittura a strutture celentaniane, senza dimenticare curiosi sviluppi di carattere fortemente tradizionale, in cui i tasti del pianoforte e l’espressiva vocalità mostrano di essere il fulcro espressivo del project.

Un accorto incrocio tra musica popolare e rock dalle venature autoriali, impresse attorno alla concettualità ricercata della melanconia e della poetica retrò.

Il disco si apre con Canzone di bellezza, nella quale le dita scorrono sulle corde della chitarra, mostrando un’anima cantautorale attenta e vitalizzata da inserti sonori creativi e ben armonizzati. La vocalità profonda, coadiuvata da funzionali backvoice si appoggia sul giusto piglio espressivo, tra guitar solo e emozioni oniriche. Proprio la rifinita delicatezza di Mazzoni si appoggia sulle variabili vintage di Ma perché te ne vai e sulla melanconia agè di Diva, in cui l’armonica divide la scena, non solo con il sarcasmo, ma anche con le trovate narrative fuori riga. La traccia ridondante e ciclica riporta alla mente alcune linee espressive di De Andrè, per poi richiudersi nei richiami classicistici di Ciao Tenerezza, in cui le note bianconere raccontano la delicatezza poetica costruita attorno alle sfumature della fisarmonica. È però con Hey boy che l’autore raggiunge il focus espressivo, pronto ad emerge mediante una sentita delicatezza jazz. Una narrazione dai colori caldi ed avvolgenti che si allinea con la riuscita struttura esposta in Nell’aria c’era un forte odore, la cui aurea anni’60 ci trasporta tra sentori pseudo surf, anche grazie ad un ottimo lavoro alle pelli. L’aria resofonica sembra infine richiamare intuizioni Rondelliane, applicate a sensazioni indie.

A chiudere il cerchio è la melanconia filmica di Non rivedrò più nessuno, grigia espressività avvolta nei colori acquarello, qui mescolati a venature tradizionali del dopo guerra, rilasciate su strutture di delicato alternative.

Un disco, dunque, per certi versi elitario… che sarà amato da chi vive di cantautorato puro ed espressivo.