Jena “Bruklin”, recensione

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Dopo qualche settimana torniamo nel mondo di Jena, attraversando la scarna opera di cover art di questo atteso Bruklin. Nove tracce che vanno a confermare le sensazioni emerse dal singolo uscito come anticipazione dell’LP promosso da Musica cruda.

Per entrare tra le vie di Bruklin ci si imbatte nell’atteso concetto minimal wave di Capriccio, riuscita overture in cui il richiamo estetico a Roberto Freak Antoni va a diluirsi verso estetiche sixty, in cui l’autore sembra voler indirizzare l’aria di una traccia deliziosa nel suo sapore retrò. Da qui si riparte, poi, per le nuove onde di Polverina, spigolosa e squadrata impronta punk, posta (però) su di un pattern dai facili passaggi chitarristici, pronti ad abbracciare nereggianti note basse, rese piacevolmente vintage dai controcanti e dalla ridondanza descrittiva.

L’itinerario musicale di Gianluca Favero si estrania poi dalla realtà, mediante le pseudo note curiane che vanno ad introdurre Come vorrei, ricca di estensioni inquinate da curiosi passaggi funky, in grado di destabilizzare l’ascoltatore privandolo di appoggi concreti, esattamente come dimostra la linearità della traccia. Se poi con Ti telefono si percepisce la medesima caratura, qui applicata ad un riff semiacustico che volge lo sguardo al Bowie più disincantato, con Dove non c’è (tutta l’aria che vuoi) , Jena si veste di un’onda oscura e nuova, attraverso una sintesi tra spezie dark e accenni in battere, interposti tra pop e rock.

L’opera matura poi verso il curioso rimando beat della Titletrack, in cui il sapore retrò invita a rivivere sensazioni dei tardi anni ’60, tra stop and go e corretti volutamente frivoli. A chiudere il nuovo mondo di Jena sono infine gli ermetici titoli Più e Mai, in cui si ritrovano i tipici sviluppi artistici ed esperienziali dell’ex Black vomit, in grado di direzionale e ridimensionare stili diversificati ed un timbro vocale poliedrico ed espressivo, sempre a servizio di una linea intraprendente ed intuitiva.