Kalamu – Costruiamo Palazzi

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“Sud” è una parola magica nella quale spesso convergono mille emozioni: la cultura, la storia, i colori ed un modo di vivere la vita a tutto tondo e tante bellezze spesso purtroppo offuscate dalle tante ingiustizie sociali che frenano lo splendere di quello che potrebbe essere un sole perpetuo. Nel mondo della musica le due facce del sud a volte si scontrano, e da questi contrasti può venire fuori di tutto. In fondo oggi non ci sarebbe musica se fosse stato per il sud: l’Africa nera ed i suoi tamburi, le tablas d’India ma anche il Sud degli Stati Uniti che ha dato vita a blues e jazz, il Sud dei canti arabi che attraversano il mediterraneo ed arrivano, filtrati ed arricchiti da nuove tradizioni al meridione d’Italia, fonte importante della storia musicale del nostro paese.

Ma la storia non basta, si sa. Il presente della musica è una ruota che gira veloce e non sempre si ferma quando deve. Oggi molti artisti del meridione faticano a far comprendere la tradizione dei loro suoni, a meno che non li mimetizzino con un pop superficialmente rassicurante per le orecchie dell’italiano medio. Una grossa ancora di salvataggio è venuta dalle tendenze giovanili legate soprattutto alla voglia di protesta e di libertà, in cui certi ritmi ben rappresentano la necessità di sentirsi “diversi” nel modo giusto. Un mondo i cui i suoni solari ed in un certo senso antichi diventano sinonimo del sentirsi liberi dalle catene. Ma anche un mondo in cui l’anticonformismo a tratti rischia di appiattirsi a moda, sciacchiando la creatività ed il talento.

I Kalamu si districano proprio in questo tipo di realtà. Provenienti dalla Calabria ed attivi dal 2005, hanno già al loro attivo quattro album in cui il folk regionale incontra i suoni arabi ed africani ed i testi, parte in italiano e parte in dialetto, incontrano il loro impegno sociale, attivo anche in maniera pratica e non soltanto artistica. Sei elementi in cui spicca il contrasto della voce femminile di Irene Cantisani e quella maschile di Paolo Farace ai quali si aggiungono fisarmonica, violino e chitarra oltre alla canonica sezione ritmica.

Il loro ultimo lavoro si chiama “Costruiamo Palazzi” e continua il percorso già intrapreso dal gruppo nel quale la protesta incrocia il suono della festa e la disperazione si mescola all’ironia. L’album si apre con la sognante “Ciaula”, quasi una filastrocca fatta di metafore in cui l’occhio del bambino filtra la realtà del disagio contemporaneo. La voce dominante è quella di Paolo Farace, perfettamente modulata al tipo di canzone che risulta essere in assoluto il punto più alto. Questo è dovuto anche dal fatto che il resto dei brani vede protagonista Irene Cantisani, che ha una voce affascinante ed una tonalità che sa di tradizione ma purtroppo spesso sembra forzare i tempi dei versi ed a farne le spese è la comprensibilità dei testi. Esempio più fulgido di questo difetto è “Non Tengo Denaro”, testo per altro alquanto banale, ritmo probabilmente pronto a far scatenare i balli del pubblico dei fans dei Kalamu ma una certa sensazione di fretta nell’esecuzione cresce con lo scorrere del tempo. Meglio “L’Acqua Fa Male”, elevata da un prezioso riff di violino che apre il pezzo e lo accompagna nei suoi break ripetuti creando una tensione che spezza positivamente la vigoria ritmica del pezzo. “L’Ellera” è un tango a tutti gli effetti, fisarmonica sugli scudi e ritmi chiaramente latini con esplosione festiva al momento del ritornello, interpretato in maniera piacevolmente “retro” dalla Cantisani che sembra trovarsi più a suo agio in situazioni simili.

La traccia del titolo dimostra come il gruppo sappia virare ulteriormente di genere, pur mantenendo vivo il loro stile. “Costruiamo Palazzi” si riferisce con sarcasmo all’inquietante speculazione edilizia che viene vista come assurda soluzioni ai mille problemi e luoghi comuni descritti a mò di lista in un testo stile domanda-risposta che vede le due voci tornare a collaborare. Certamente è questo il brano che dà molta più importanza alle parole che alla musica. Ma parole importantissime anche in “Tutti Giù Per Terra”, nella quale Paolo Farace torna alla ribalta e recita un bellissimo testo di forte protesta in maniera poetica e fiabesca, ricordando per certi versi lo stile di De Andrè. E’ innegabile che in casi del genere si riscontri un maggiore equilibrio nel sound dei Kalamu. Al contraro, volutamente caotica (troppo?) è “Il Sogno S’Avvira” che comunque si contraddistingue per un pregevole quanto raro assolo di chitarra.

La migliore performance di Irene Cantisani si riscontra ne “L’Aria della Festa”, pezzo che celebra l’atmosfera domenicale centrando in pieno lo stato d’animo festivo nel ritmo e nel suono tranquillo. Tutta rabbia invece in “Sangue Avvelenato”, dedicata proprio ai guai del sud, in cui il ritmo si fa potente e teso, senza pausa, a dare ancora più sostanza al testo pieno di giusto veleno.

A chiudere il disco e sembra quasi a chiudere una serata di festa “Na Ballata” ed “Il Temporale”, la prima un condensato di nostalgia a ritmo serrato in puro dialetto a mò di jam, la seconda una via di mezzo tra danza popolare con lungo intermezzo strumentale e chanson d’autore in cui il cielo e le nuvole diventano entità a cui rivolgersi per avere speranza.

Ed un po’ di speranza ritorna all’ascolto di “Costruiamo Palazzi”, album piacevole e ben scritto, con pregevoli parti musicali e testi interessanti, nonostante qualche caduta nei clichè di un genere che vivrebbe molto meglio se non seguisse alcuni dettami di massa che non fanno altro che sminuirne l’interesse.