La notte dei lunghi coltelli, Recensione ed intervista

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Pur nell’inquietante ignoranza storica delle ultime generazioni, la cosiddetta notte dei lunghi coltelli (ancora oggi) rappresenta un ricordo storico tanto drammatico quanto triste, che permise l’epurazione di ogni avversario politico dell’Hitler appena salito al potere. Un atto violento che disegna uno dei momenti cardine di quello che Hobsbawm chiamò il secolo breve. Da oggi La notte dei lunghi coltelli è anche il provocatorio monicker del side project Karim Qqru, uscito momentaneamente dal cosmo Zen Circus per dare alla luce un disco folle e coraggioso, caratterizzato dalla trasparente espressione di una creatività che va ben oltre l’orizzonte visibile. Un opera complessa e composta, capace di chiudere a sè un abbraccio di note schizofreniche, ironiche e rabbiose, tra recitazione sopra le righe e collera mai perduta.

Questo piccolo grande esordio solista del musicista sardo si apre con l’attacco iper punk de La caduta, incipit ossessivo e deliziosamente scomposto che trova linfa vitale nel punx anni 80. La traccia, impreziosita da un’enclave sonora altamente destrutturante, appare contenitiva rispetto ad esplosione di idee che si percepisce sin dal primo ascolto. Un’energica introduzione al mondo sonoro di Qqru, attraverso un’ottima e semplice miscela tra le essenziali linee del drum set e le chitarre diluite su di una retta definita da armonizzazioni “nu”.

Con J’ai toujours ètè intact de dieu di Jacques Prevert ci si inoltra poi in un curioso drum’n’bass, definito attorno ad un’arte oratoria e multietnica che pare ricordarci le balieu descritte dai Zebda in L’arène des rumeurs . Il brano, dopo un inizio riflessivo, si erge in un loop ridondante tranciato da spiccioli elettronici ben alimentati dalla drum machine. Un esempio in cui lo squilibrio narrativo lascia spazio a sensazioni rubate agli Un quarto morto, atte ad introdurci nell’antro guasto del folle e curato songwriting, attento nel suo metaforico senso di surrealismo. Una traccia perfetta nel suo essere e nel suo osare. Qui, come altrove, ritroviamo anime contrapposte che si incrociano e si alimentano a vicenda, lasciando il palcoscenico al proprio alter ego sonoro, tra cupezza ( DDR) e recitazione inquieta ( La notte dei lunghi coltelli).

Le nere note si diramano attraverso sottili fil rouge che portano l’ascoltatore ad un caleidoscopico mondo sonoro, proprio come dimostrano l’urlata rabbia di D’isco Deo, cantata in lingua sarda e la nereggiante ira di Levami le mani dalla faccia, in cui la voce di Aimone Romizi centra uno splendido heavy riff semplice e diretto.

Di buona fattura appare poi la trama onirica ed ossessiva di Ivan Lijc, in cui una chitarra nervosa si appoggiata agli spari della drum machine, intenta a definire una dose perfetta di altronica esponenziale; un crocevia di note sperimentali, saggiate su di un corpo esile ed in netta contrapposizione con l’anima cupa e luciferina degli archi di Nicola Manzan e ed Emanuele Braca.

Un disco che apre il 2013 con il giusto piglio anche grazie alla Black Candy Records, che amplia il proprio rooster con un’opera da acquistare, leggere e rileggere più volte.

Intervista a KArim Qqru

1. Le mie interviste “Bonsai” hanno un punto in comune…la prima domanda! Puoi spiegare l’origine e il significato del nome La notte dei lunghi coltelli?

“La notte dei lunghi coltelli” fu un evento storico crudo e spietato; l’epurazione delle SA (le camicie brune) da parte delle SS, dopo anni di cammino comune, nel quale le prime aiutarono fortemente le seconde per la scalata al raggiungimento del terzo reich. Quel folle di Hitler, quando si rese conto che il gruppo paramilitare di Röhm rappresentava una palla al piede per la sua ascesa, nonostante la collaborazione di anni, non esitò un attimo nel farlo fuori. Uno per uno, cercando di eliminare anche i familiari, per cancellare la loro traccia dalla Germania. Ho sempre letto un forte simbolismo in tutto questo. Usare qualcuno per arrivare ad un obiettivo prestabilito salvo poi distruggerlo, una volta arrivato a destinazione. Chiaramente (ma questo è ovvio) la scelta del nome non ha nessun richiamo politico.

2. Come nasce l’esigenza di un side project come questo?

Ho cominciato la mia esperienza musicale come cantante chitarrista, ormai 16 anni fa. Per qualche anno ho fatto dischi e tour sotto questo ruolo, la batteria la scoprii solo a 20 anni. Un anno e mezzo dopo entrai negli Zen Circus. Dopo anni ho voluto riprendere in mano il microfono e la 6 corde; con la voglia di infilare in un disco una parte delle mie passioni musicali ed extramusicali.

3. Come si può leggere dalla recensione, posso dirmi invaghito di questo Morte a credito. A risentirlo quale è la forza reale di questo full lenght?

Per me la forza di questo disco risiede nell’immaginario. Ma anche l’ accostamento di sonorità dure come hardcore ed industrial a momenti ambient eterei. L’insieme delle cose crea un prodotto che (al di là dei gusti) non lascia indifferenti. Poi questa è la mia opinione, altri magari ti diranno che è il disco più brutto e stupido mai partorito nella storia della musica, ahahahaha

5. Quali sono le dinamiche che ti hanno portato alla collaborazione con nomi altisonanti dell’underground come Nicola Manzan e Aimone Romizi?

Sono due amici ed amo moltissimo i loro dischi… abbiamo una visione musicale molto simile.

6. Come cambia la tua realtà nuova rispetto al mondo Zen Circus?

Beh, con gli Zen Circus è organizzato tutto in modo più certosino, in tour siamo 10 persone tra tecnici, backliner e tour manager. Abbiamo un pubblico numeroso e fedelissimo, che riempe tutti i locali in cui suoniamo.

Con “La notte dei lunghi coltelli” nonostante il singolo e l’anteprima dell’album siano andati fortissimo, mi dovrò costruire da zero il pubblico… e questo rende tutto molto stimolante e divertente.

7. Questa piccola grande opera deve essere considerata una produzione unica e finita o si può sperare in un sequel?
“La notte dei lunghi coltelli” è un progetto a lungo termine, da condurre in parallelo con gli impegni degl Zen Circus. Sto già