Le braghe corte

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Il loro retroterra culturale si posa su quella Bologna di fine anni ’90, tra lo Ska italiano di seconda generazione e tutto ciò che in quegli anni era rappresentato dal cosiddetto nu punk, così lontano, non solo dal punk 77, ma anche da tutte quelle correnti derivative, che poco hanno a che spartire con il passato. Infatti, Le Braghe Corte guardano più al mondo bislacco dei NOFX e dei Rancid che a Crass, Pistols o Buzzcocks.
Basterà ascoltare una volta “Hey hey hey” per rendervi conto di come il settetto felsineo abbia nelle vene un sangue in levare, che nel tempo li ha portati, forse grazie anche alla collaborazione con mr Rocco Siffredi, alle Markette di Piero Chiambretti.

Il disco viene battezzato dal destabilizzante sapore madrigalistico che introduce Edgar’s suite (part 1), prima parte di una curiosa overture. La frazione introduttiva si colloca piacevolmente tra il ritmo in levare e quella tradizionale sonorità balcanica. Infatti, ritroviamo tra le partitura lo stile dei Gogol Bordello e l’arte sonora di quell’Underground reso famoso da Kusturica. I ritmi serrati trovano posa nell’interludio di Edgar’s suite (part 2), in cui la calda dolcezza dell’armonia rende protagonisti i fiati, per poi tornare alle intemperanza dell’ultima parte, che tanto piacerebbe a Goran Bregovic.

L’album offre poi con Bullshit un curioso featuring con il Piotta, che porge la sua arte canzonatoria ad un brano che porta la voce di Victor M. de Jonge all’ombra degli Smash Mouth, similmente a quanto accade in This is my town , traccia figlia legittima del punk rock d’oltreoceano. Un particolare sviluppo basato su di un beat iniziale che va a sposare climaticamente la strumentazione del settetto, indirizzandosi ad una ritmica in levare.
Il disco offre anche spazi di puro Ska a scacchi bianconeri con Easy way ed enclave greendayiane come in Voices , per un pop punk in cui il lirismo convince sin dal primo ascolto, a differenza di tracce meno saporite come Qualunque cosa farò e The mistake.

Un disco piacevole, allegro e spensierato che ripercorre quella strada iniziata nel 1997, oggi percorsa in maniera più consapevole e meno raffazzonata, con una verve compositiva tanto semplice quanto efficace, racchiusa in una cover art colorata ed infantilistica, perfetta metafora di quella volontà atta di prendere la vita e i suoi prodotti in maniera naturale e diretta, attraverso un tratto grafico minimal dai colori piatti e mirati.