Lilli Burlero e Jewels for a Caribou

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Lilli Burlero
“Culto Cartoon”

Mi rendo conto, sin dal primo ascolto, che l’onere o l’onore di presentare l’ultima opera di Lilli Burlero non sarà cosa tanto facile. La motivazione esula da quella soggettività, che ognuno di noi tende a non voler sopprimere, in quanto parte integrante del proprio istinto. È spesso difficoltoso liquidare o delimitare il senso del proprio gusto, che ha il dovere di essere demarcato in una piccola area del nostro sentore, per evitare di sviluppare critiche musicali superficialmente trattate.
Con “Culto Cartoon”, a dire il vero, ho faticato molto nel tenere a bada quei vocaboli e quei paragrafi che finivano per nascere dall’area del gusto…che naturalmente non paleserò esplicitamente, nel tentativo di rimanere in uno status neutro.

Lilli Burlero, alias Alessandro “Re miurgo” Gentili, raffigura…anzi disegna un vero e proprio progetto iniziato nel 2003 con “Sublibrai”, che già allora, aveva lasciato il segno in quell’underground di nicchia, che spesso nasconde talenti artistici di difficile consumo, ma di straordinaria capacità artistica. Il fil rouge, che sin dai primordi ha accompagnato la band romagnola, è senza dubbio un gusto vintage (basti osservare la cover art), capace di confondere e magnetizzare tra modulistiche oniriche di ridondanza quasi ipnotica e un post folk dettato da sviluppi linguistici tra il serio e il faceto.

“Culto Cartoon” è, come si legge nel booklet, “un’opera in musica, narrativa, paesaggistica e arti figurative che cincischia intorno alle vicende individuali e collettive di Salom, ridente colonia immaginaria” . Una sorta di velato concept album, alla cui regia è posto Gentili seduto tra sampler e musicalità poliedrica, che viaggia tra sonorità La crus come nell’introduttiva “La festa di san Giovanni” ed electro-indie-folk come emerge in “L’enigma degli Howard”. Il disco, anche se ritiene l’anima folk come trait d’union, esplora diversi sentieri come accade in “Il divertimondo”, che tanto può piacere ai fan dell’ultimo Yann Tiersen, oppure come si verifica con il pianoforte jazzato di “Amelia-una notte di tregenda”, impreziosita dalla nativa voce di Liana Mussoni.

Tra i vari brani proposti da quest’ultima fatica del DEmiurgo, è necessario citare la track forse più convincente dell’intero concept, quello che si nasconde dietro la traccia numero otto, il cui groove finisce per conquistare con facilità, grazie al divertissement che, tra sognanti paesaggi e favolistiche sensazioni arriva a citare i Righeira, definendo così una diversione tanto kitsch quanto divertita.

Se “Culto Cartoon” vi piacerà, allora sarete felici di sapere che il disco appartiene ad una trilogia-culto-cartonata che, citando Asimov, potrà farvi vivere quello che si racconta della colonia Salom, attraverso una sorta di baedeker che fungerà da bussola, in un mondo che (forse) non c’è.

Jewels for a Caribou
“The land of nasty toys”

Approfittando dell’MTV day nella mia città, qualche mese addietro, passando da un’intervista ad un concerto, mi sono voluto soffermare sulle parole di una delle migliori voci del 2008 (e non ho remora nell’affermarlo!): Giusy Ferreri.
La starlette della trash tv, per motivare il suo successo, ha spiegato di essere capitata nel business music in un momento strano, con una voce strana.

Vi chiedere però: “ Cosa centra la cantante della Trinacria con i Jewels for a Caribou??”

Fondamentalmente nulla, se non per il fatto che le parole di Giusy potrebbero benissimo appartenere alla band romagnola, per quella ventata di nuovo che offrono con il loro full lenght d’esordio “The land of nasty toys”, una piccola perla che nulla ha da invidiare alle sonorità di gente come Sufjan Steven o Sparklehorse.

Ascoltando il disco appare impossibile, e lo dico nella migliore delle intenzioni, riuscire a captare sentori di Romagna. Infatti, sin dal primo ascolto, la band mostra vero sangue d’oltreoceano, tra il caldo cantautorato canadese, e l’alternative d’elite.
Risulta difficile però definire con precisione la sonorità proposta. A tratti il sound appare come una sorta quadrilatero romano, fatto di post rock, alternative, country e folk oscuro. Ascoltandoli, vi torneranno alla mente reminescenze musicali di ogni tipo, quelle che da Nick Cave arrivano a Tom Waits, quelle che da i Ronin passano dai Gsy!be, sino ad ad un alt-industrial gotigheggiante.

“The land of nasty toys” si apre con “la traccia n°1”, pregna di aria mediterranea mescolata abilmente con il sapore dell’america rurale, narrata da un’insolita, calda e profonda voce portante, che conduce in un crescendo verso l’aria moldava della “traccia n°2”, che tanto ricorda il primo ep dei Ronin di Bruno Dorella. Il brano in questione è da considerarsi tra i migliori episodi dell’album, caratterizzato da semplici timbriche in cui la canicolante parte vocale si sposa alla perfezione ai riff elettrici di matrice indie. Non mancano elementi della tradizione musicale come nella “traccia n°8”, né sperimentalismi dalla saporosità rumoristico-soft della “traccia n°9”. Certamente però tra i più felici passaggi ritroviamo “la traccia n°5”, in cui la backvoice e la ridondante struttura regalano un brano accattivante, tanto quanto la“traccia n°3”, in cui un’armonica d’impronta alt-country, riporta alla mente Mark Linkous e la sua “Cow”. La ricetta sembra però non aver fine, basta ascoltare la convincente “traccia n°4”, in cui il classicismo impersonificato dai tasti del pianoforte, si unisce senza difficoltà ad un oscura, quasi darkeggiante realtà, sospesa tra sole e nubi, tra melanconia e oscurità.

Insomma, non ci sono dubbi sulla bontà di questo progetto promosso dalla Ribess Records.

Dopo l’ascolto di questo primo disco, non nutro molti dubbi sul successo a cui questi ragazzi sono destinati e forse il cammino dei Jewels for a Caribou potrebbe essere similare a quello di Bugo con Bar la muerte, anche se presumo che la casa discografica romagnola non abbia così fretta di liberarsi del suo cavallo di razza.