Madness at home “Shoelace”, recensione

Packaging perfetto (ma per la Overdub sarebbe strano il contrario): booklet a poster, testi, cover art funzionale, font impeccabile, cromatismi essenziali; insomma un digipark che diventa oggetto ancor prima dell’ascolto stesso.

Ladies & Gentlemen, ecco a voi Shoelace, debut album dei Madness at home.

La band Capitolina, costruita attorno ad un puro concetto di powertrio, arriva a noi con un disco potente, ossessivo ed inquieto. Un’opera in cui tracce di Noise si mescolano a rimandi del recente passato, qui rivisitato attraverso uno sguardo che, partendo da Seattle (Wet room) giunge ad un post hardcore disturbante.

A dar battesimo al disco è un incipit estraniante, che converge verso un ossessivo riff, sporco e grezzo, che tanto mi ha riportato alla mente il Cobain di Bleach, e basterebbe questo per indicizzare la curiosità degli astanti, che invito caldamente a perdersi tra le note inquiete di Blue dye suicide, straordinario anthem di un disco che non riesco a togliere dalle orecchie.

La set list, tirata ed accorta, gioca poi con sonorità impolverate, in cui gli spazi ridondanti dialogano con la avvolgente e narrativa sezione ritmica (Bench), in cui si innestano le note distorte della sei corde, pronta a definire improvvisi cambi direzionali (Sane).

Tra le tracce più interessanti del disco, di certo, troviamo l’Industrial Noise di Cathartic Fabric, composizione visionaria, estraniante e oscura, che, assieme al riffing di Grillo, offre un climax espressivo, al servizio di un disco nel quale fatico a trovare ombre.

Tracklist

1. Blue Dye Suicide

2. Waste

3. Wet Room

4. Bench

5. Cathartic Fabric

6. Celluloid Hill

7. Grillo

8. Sane

9. Pater, Mater