Miss Massive Snowflake “Your favorite band”, recensione

A.D.2002, ecco la data in cui per la prima volta parlai dei Rollerball e Shane De Leon, oggi tornato tra le mie parole per questo nuovo Your favorite band, release marchiata Miss Massive Snowflake, di cui già parlai tempo addietro

La band, rinnovata attorno ai vertici Brown-De Leon-Kennedy-Herman-Martinez-Andreini-Testa, da forma ad un poligono disegnato attorno a chitarre vive, synth e ritagli drone, ma non posti in vetrina al solo fine di apparire, ma al contrario utilizzati in funzione di una tracklist sussurata, come un atto d’amore verso la propria claque plaudente.

Ad aprire l’album è una quieta struttura narrativa in cui echi, riverberi e distorsioni accompagnano il timbro delicato della voce narrate. Aperture emotive e colori ariosi, in cui la lentezza espressiva accoglie con  una carezza l’ascoltatore, pronto a ritrovare in To the bone rimandi Bowie e ricami anni ’90. Da qui si riparte verso le disturbanti strutture distopiche di The Doorman, traccia estraniante, in cui tagli armonici si uniscono ai controcanti e a una sezione ritmica alquanto new wave.

L’album, promosso da North Pole Records appare, sin dal primo ascolto, avvolgente e divergente, come dimostrano le dissonanze di Church/Casino ed i battiti inquieti di Una cura, dove lo spokenword si racconta tra distorsioni e pause. La voce fuori campo, infatti, non trova appigli sulla banalità e la creatività che trapela dal vinile si offre, così, agli astanti attraverso destabilizzanti strutture in cui si possono ritrovare ingredienti inattesi, proprio come accade in West Palm Beach.

Tra le composizioni più interessanti sento il dovere di citare Oh Shoot, probabilmente annoverabile tra le composizioni più “normalizzate” del full leght ed il minimalismo esecutivo di Hot coffee, entrambe voce di un album che coinvolge un target di riferimento piuttosto esteso, in cui trovano posto coloro i quali, partendo dagli sperimentalismi, giungono all’indie rock. A queste va ad aggiungersi la perfezione emozionale della titletrack, in cui la delicatezza femminea si abbraccia a metriche piacevolmente retrò.

 

 

Ma attenzione… perché le virate sono davvero molte, vi basterà ascoltare le tecniche miste di What a wall (Flags Mean) per rendervi conto di come le reminiscenze vintage degli anni ’70 giungano a noi attraverso idee e cura, qui guidata da una produzione di livello.

Datemi retta, mandate a fan culo* il digitale, il calore di un supporto fisico non ha eguali in casi come questo: ascoltate…se volete, ma poi raccontate ai vostri amici la cassetta o il vinile.

 

 

*Nota a margine: mi permetto di usare il turpiloquio solo dopo 2871 recensioni….ma quando ci vuole ci vuole!

 

 

Tracklist

 

1.To The Bone

2.The Doorman

3.Church / Casino

4.Una Cura

5.Your Favorite Band

6.West Palm Beach

7.Oh Shoot

8.Florian’s Hair

9.Hot Coffee

10.What A Wall (Flags Mean)