|
Attenzione
attenzione… capolavoro o no non saprei dirlo, ma l’uscita
di cose interessanti comincia a farsi sempre meno frequente, per cui lavori
come questo lasciano comunque con un sapore in bocca diverso dal solito.
Spiego perché.
I Tripod sono
un gruppo “senza un passato”, per dirla con le parole del
vocalist Clint Bahr. Vengono da New York e si sono formati nel 1998. Si
tratta di un trio che fa qualcosa di simile all’hard-rock, con influenze
prog, metal e via contaminando. Le curiosità cominciano elencando
i componenti: è un trio formato da basso a 12 corde & voce,
batteria e… sax. Niente chitarre, e si fa rock. I risultati sono
davvero notevoli. Il sound prodotto è potente ed essenziale, e
per immaginare un po’ cosa potreste trovare all’ascolto pensate
a un summit tra King Crimson, Primus, Gong e John Zorn… se l’allegra
brigata vi suona favorevolmente, buttatevi perché ne vale la pena.
Si viaggia
più o meno rumorosamente tra i rigori sincopati e tesi alla Robert
Fripp (senza disprezzare passaggi relativi alla fase più moderna
dell’epopea Crimsoniana), gli innesti vocali con canto normale o
di impostazione favol-fumettistica, accenni canterburiani di flauti e
clarinetti e un paio di brani puramente improvvisativi. La musica è
dura ma non del tutto radicale, e quindi mantiene una sua fruibilità
di fondo che manterrà comunque il prodotto indigesto per chi chiede
un po’ di tregua sonica ai propri momenti musicali, ma stuzzicherà
i palati più desiderosi di sapori forti e marcati con un tessuto
organizzato e di buona struttura.
La mancanza
della chitarra non si sente se non nella sensazione complessiva di un
suono piuttosto asciutto e scarno. Per dare potenza e corpo a quanto i
nostri vogliono tirar fuori vanno molto bene le dodici corde di un basso
che colora l’ossatura dei brani e un sax agguerrito e deciso quando
serve ma anche relativamente morbido nel sottolineare i riff melodici
principali. La tecnica c’è e viene messa a disposizione delle
canzoni, senza assoli mozzafiato ma puntando piuttosto all’efficacia
d’insieme, con esiti spesso trascinanti soprattutto nelle volate
all’unisono basso-sax.
Che dire per
chiudere? Davvero un lavoro interessante, coi suoi spigoli, le sue rigidità
e una certa voglia che resta alla fine nel voler sapere dove andranno
a finire costoro nel prossimo album, dove sarà importante evolvere
il discorso. Le idee non mancano e c’è molta bella musica
da ascoltare, anche se ovviamente il canticchiarla sotto la doccia non
è propriamente l’utilizzo più adatto per cui la si
possa consigliare. Per chi ama il rock c’è, insomma, una
possibilità per ascoltare anche qualcosa di innovativo (le rivoluzioni
lasciamole al passato: accontentiamoci di qualche nuova buona idea, che
è già molto!). Decisamente da assaggiare, per non fare sempre
la stessa strada.
|
|