Tora Tora Festival

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Prima giornata

Se gli Stati Uniti hanno avuto la fortuna di avere Ozzy Osbourne, con il suo OzzFest e Perry Farrell padre fondatore del Loolapallosa, oggi anche l’Italia ha l’opportunità di entrare a testa alta nel mondo delle manifestazioni itineranti, grazie a Manuel Agnelli, che ormai da anni, si è imposto con grande successo, come anima dell’ormai famoso Tora Tora Festival; un vero e proprio raduno capace di accogliere, oltre alle migliaia di appassionati, anche un numero cospicuo di band di ottima fattura. Finalmente dopo quattro stagioni, il circo musicale approda anche in quel di Genova, nell’ambito della Festa Nazionale dell’Unità, offrendo un viaggio trasversale nel sound italiano contemporaneo, attraverso diverse tipologie di sonorità.

La prima giornata ha inizio, come da cartello, alle 16.00 circa, davanti a uno sparuto gruppo di spettatori. Di certo, il giorno lavorativo e la pioggia battente del primo pomeriggio, ha probabilmente scoraggiato molti potenziali astanti. L’onere di battezzare la data genovese del Tora Tora è preoccupazione degli Hidea che cercano di sfruttare al meglio il tempo a loro dedicato, attraverso brani intensi e piuttosto audaci.

A seguire, salgono sul palco i Diva Scarlet e Northpole. I primi, anzi le prime, visto che la band è formata da sole donne, presentano cinque brani estratti dal loro debut-album, targato Mescal, eseguendo un sound introverso, diretto, in cui la semplicità dei testi si mescola a sonorità accattivanti.
I veneti Northpole, segnalati nel 1994 da John Reel come il miglior gruppo italiano, propongono un live incentrato sul periodo post ”faccio tutto domani”, che ha segnato il passaggio alle liriche italiane. La band di Castelfranco, ha riproposto attraverso la voce di Paolo Berardo brani come “Poster” e l’intensa “Niente mi ricorda di te”.

Prima dell’imbrunire ecco salire sul palco i Cut, gruppo minimale: chitarra basso e batteria. Il concerto inizia con i brani “Go nag” ed “Edison”, davanti a un pubblico che inizia solo ora a sciamare più numeroso. Prima della seconda trance di concerti si esibiscono ancora i livornesi Appaloosa, fautori di un ottimo post-rock. Una band che, visibilmente influenzata da sonorità alla God speed you! black emperor, regala al pubblico un suono tutt’altro che easy listning, creato ad arte, attorno alle marcate sequenze delle line di basso del bravo Enrico Pistoia. Tra i migliori brani “HEy!!are you” e la conclusiva “Z”.

Alle 19.00 circa, nascosto dietro ad un completo gessato ecco la voce di Paolo Benvegnù, ex Scisma, da poco uscito con il nuovo album solista “Piccoli fragilissimi film”. Un insieme di suoni, tra l’indie e la musica cantautoriale, che trova sviluppo in tracks come “Io e te”, “ Il mare verticale” e “Cerchi nell’acqua”, rese ancor più nobili dalla chitarra di Massimo Fantoni.

A ruota salgono on stage i magnifici Giardini di Mirò. Si ritorna al post-rock abile ed energico, nato in quel di Cavriago. La band si presenta con la novità degli ultimi tempi: Alessandro Raina, vocalist che nonostante alcune critiche, dimostra di saper portare oltre il limite la musica del gruppo, sia grazie alle capacità di teatralizzare il sound del gruppo, sia per la rara capacità di sviluppare il suo cantato come una sorta di aggiunto strumento. Dopo brani come “Trompso is ok” e “ A new strat”, in cui spiccano le capacità del bravo Francesco Donatello alla batteria, ecco l’omaggio che i Giardini regalano a Genova, una splendida versione de “Il cielo in una stanza”.

I Toni si alzano verso un grintoso e granitico r’n’r dei One Dimensional Man, che nonostante siano stati penalizzati da un iniziale problema tecnico, effettuano una buona performance, battezzata dalla ben conosciuta “Fool world”. I tre musicisti si dimostrano, per l’ennesima volta, belve da palco, evidenziando buone capacità rappresentative, soprattutto nei precisi passaggi di “ 3 little woman” e “Take me away”.
Il sole è ormai oltre alla linea dell’orizzonte e Toffolo, Molteni e Masseroni, meglio conosciuti come i 3 allegri ragazzi morti, si presentano dietro ai microfoni. A differenza di altre volte il frontman, tolti gli occhialini intellettualoidi, evita di indossare il classico costume di scena e si mostra in abiti borghesi. Guardandosi attorno si comprende come i Tarm siano tra i gruppi più attesi della serata. Il primo pogo della giornata è accompagnato dalle loro canzoni, conosciute a memoria dalla maggior parte dei presenti. Lo show, al di là del breve tempo di esibizione, ha comunque in sé i classici cliquet, a cui i tre ci hanno abituato: “Ogni adolescenza”, “Abito al limite”, “La decisione” e poi il punto più alto del divertente spettacolo “Occhi bassi”. Ma purtroppo la “vita è brutta e non l’ho inventata io…” e il live termina per lasciare il posto al nu-metal hardcore dei torinesi Linea 77, una delle poche band del settore, conosciute ed apprezzate anche all’estero. Lo show che i piemontesi offrono al pubblico è fatto di grinta e vetriolo estratto dai loro tre album. Emo e Nitto come al solito si alternano nell’urlante rap-core che trova la sua maturazione in “6.66 diabulus in musica”, ultimo singolo che la band ha registrato con i Subsonica. Di questo live resterà anche il bellissimo restyling di “Walk like an egiptian” un sentito omaggio alle Bangles.

Siamo quasi alla conclusione di questa prima lunga giornata di musica, ma la gente continua ad entrare anche solo per il gran finale. Purtroppo appare evidente come molti spettatori siano attratti solamente dagli headliners della serata, sottovalutando così i gruppi che si sono alternati sin dal primo pomeriggio.
Alle 22 circa inizia a cantare Giorgio Canali che esordisce auto-proclamandosi un semi-sconosciuto. In realtà l’ex CSI, sa benissimo che molti dei presenti aspettano con ansia il suo concerto. Il membro dei PGR si mostra al suo pubblico con avida grinta di chi ha intenzione di lasciare il segno, forse i suoi testi non hanno l’immediatezza che molti cercano, ma il suono che scaturisce dal palco a pieni watt, riesce a coinvolgere tutti i presenti, con brani come “Mostri sotto il letto”, “Fumo di Londra” e “Precipitio” forse la track più apprezzata, anche da chi sino ad oggi non sapeva chi fosse Canali.

Alle 22.30, dopo molta attesa, ecco i Verdena e a seguire gli Afterhours. Sembra passato un secolo dall’uscita di “Valvonauta”, soprattutto valutando quanto i ragazzi di Bergamo oggi hanno mostrato sul palco. Se in passato qualche dubbio di sopravalutazione poteva esserci, oggi queste perplessità sono scomparse, sia per la loro maturata capacità compositiva sia per la sagacia con cui i tre sanno tenere lo show. La voce di Alberto in “Valvonauta” e “Phantastica” supera ogni aspettativa, mentre il basso di Roberta, offre un anima di ferro ad ogni singola battuta. Questi ragazzi sono cresciuti in fretta, imponendosi a pieno merito nell’elite dell’alternative italiano, forse grazie anche alle consulenze di Canali e Agnelli, capaci di carpire le grosse potenzialità di un gruppo che offre il meglio di sé dal vivo.
La lunga giornata viene chiusa, come tutti si aspettavano, pur non conoscendo la scaletta, dagli Afterhours e da una loro insolita scaletta, che mostra un intento più conoscitivo che celebrativo. Sono 11 i brani proposti, tra cui tre cover, da cui emerge senza dubbio l’interpretazione magnificante di “Canzone di marinella”, che ha visto Manuel al piano, e la rielaborazione personale di “Gioia e rivoluzione” hit degli Area che sarà colonna sonora a dell’uscente film di Chiesa “Lavorare con lentezza”. Nelle tracks proposte sono state comprese tre nuove canzoni, che molto fanno sperare per l’uscita del prossimo album. Su tutti emerge “La sottile linea bianca” che si propone come potenziale single del prossimo lavoro. Il live offre, inoltre, un tuffo nel passato con le grintose parole di ”Dea”, “Veleno” e “Male di miele” che scivolano lievi verso la conclusione della serata.

Le luci si schiariscono attorno alla mezzanotte e Manuel Agnelli chiama sul palco tutti gli artisti della serata. La speranza di qualcuno, forse memore di “We are the world”, è quella di vedere suonare e cantare tutti assieme, per il botto finale, ma oggi il gran finale è iniziato alle 16 e anche domani avrà un seguito.

Seconda Giornata

Fin dal primo pomeriggio il patron Agnelli, gira nel backstage, a fianco degli artisti, mentre la puntuale organizzazione della POP, permette anche a noi inviati di godere di un ottimo coordinamento. Quando il sole è ancora alto ecco salire sul palco i promettenti Zerodieci , gruppo locale, il cui nome è ripreso dal prefisso telefonico genovese. La band avendo pochi minuti a disposizione per mostrarsi al pubblico, propone tre brani tirati, nel nome di un pop rock accattivante.

In rotazione poi si presentano sul palco Lemeleagre, Mariposa e Zen Circus . I primi presentano alcune tracks del loro primo full-lenght ” La foto di Gregor”, album che è valso al gruppo l’edizione 2003 di Rock Targato Italia e il Sonica Festival di Palermo. Tra i brani proposti “Sangue al naso”, “Marge” e “Veloce”. I Mariposa , sestetto di ottimo impatto musicale, invece propongono, come loro stessi narrano, “musica componibile”, perché il cosiddetto assemblaggio componibile delle cucine, è la cosa che meglio ricorda il loro tipo di sound, fatto di sinapsi musicali tra diversi generi. La band si dimostra eclettica e insolitamente numerosa, la bravura dei componenti meriterebbe ben più spazio, il consiglio è quello di seguire l’iter musicale di questa promettente band.

A seguire ecco l’esibizione dei pisani Zen Circus, che aprono il live con “Well done” e “Folk Punk Rockers”, due tra i brani migliori proposti dal gruppo, che a tratti sembra ricordare il sound dei Violent Femmes. Il terzetto sembra aver molta cura, non solo delle partiture, ma anche dei testi, che dietro a una apparente immediatezza nascondono qualcosa di più ricercato.

Sotto lo sguardo attento di Manuel Agnelli, si esibiscono gli Anonimo FTP e Good Morning Boy. I primi, forti della bella voce di Vince Merlino e le trainanti percussioni di Bellavia, propongono ad un pubblico ancor non troppo numeroso, brani come “Gusto al limone” e ” Come stai?”, esempi di un rock irrequieto, caratterizzato adrenalinici arrangiamenti, e battute vigorose. A seguire i bravissimi Good morning boy, band fine e ricercata che propone un Indie rock di ottima fattura attraverso le note di “So fine”, “Hamlet machine”, “Lili”, riuscendo senza difficoltà ad accattivare l’interesse del pubblico presente, forse più di quanto non sono riusciti a fare i gruppi precedenti.

Intorno alle 19.30 è la volta di Marco Parente , che per chi non lo conoscesse, ha in se un talento immenso. Ex CSI, ha dato vita ad un progetto da solista in cui, oltre che come autore e frontman, si è provato anche come arrangiatore. Parente si presenta al suo pubblico accompagnato da chitarra e da dal sax tenore al quale si unisce la guest star Agnelli, che si offre al piano per l’esecuzione di alcuni brani. Difficoltoso astrarre dalla scaletta il brano migliore ma forse la scelta ricade su “La mia rivoluzione” singolo dell’album “Trasparente”, pubblicato dalla Mescal e prodotto dal leader degli Afterhours. Prima del momento ska punk molto atteso dai presenti, sul palco si esibiscono i Micevice la cui anima trova radici attorno al nome di Giovanni Ferrario, collaboratore e coproduttore degli Scisma. Accompagnato dalla talentuosa Giorgia Poli al basso, Michela Manfroi alle tastiere e Dade Mahony alla batteria, Ferrario, voce e chitarra della band, offre al pubblico un live diretto senza troppi fronzoli, essenziale è intenso.

Alle 20.30 on stage sale un sestetto in gonnellino a soffietto nero, forse chi mai ha visto un live degli Shandon rimane stupito, ma per i più, il costume di scena non è una sorpresa. Le ritmiche di Olly e Merco i giri di basso di Andrea, i fiati di Albeto e Fabio e le percussioni di Walter creano un mix portentoso attorno a brani come ” Deep” e la piacevole “Drunk”, per i quali gli spettatori non faticano a lasciarsi andare a pogo e skadance.

Il fil rouge continua con i “profeti in patria” Meganoidi nitidamente maturati dalle ultime performance. La sezione fiati ha una maggiore incisività e anche la voce di Davide sembra essere più a suo agio con il nuovo sound, meno adolescenziale, di brani come la splendida “Zeta reticoli”, che chiude un live che è riuscito a fondere il felice presente di “Outside the loop, stupendo sensation” con il sorprendente passato di ” Into the darkness, into the moda”.

Sul finire della giornata iniziano i fuochi d’artificio, con la magnifica, divertente e divertita esibizione dei Pinerolesi Africa Unite. Incredibilmente da venti anni venti, la band scorazza con grande successo per tutta l’Italia, riuscendo sempre a soddisfare i propri aficionados. Bunna e soci danno in dono ai presenti un ritmo reggae attraverso le parole di “La storia” che apre il concerto, “Rughe indelebili” e la poetica “Mentre fuori piove” che riesce a coinvolgere un pubblico che dimostra un affezione particolare per la band di Madaski. Non ci si può fermare però il ballo continua, mentre i tecnici smontano la strumentazione degli Africa nel backstage Cisco e i suoi Modena iniziano a prepararsi per un live che sanno essere breve. La scelta dei brani proposti dagli emiliani e però senza dubbio basata su ciò che i fan si aspettano di ascoltare. Accolti da un boato I Modena City Ramblers danno il via ad uno show incredibilmente implicante, anche vissuto da dietro il palco appare del tutto normale lasciarsi andare alle ritmiche celtico latine. Con I Modena si canta, si balla, si alza il pugno al cielo, accompagnando il ritmo combat folk di brani come “Funerali di Berlinguer” e la toccante ” Il bicchiere dell’addio” oltre a quei brani che proprio non possono mancare come “In un giorno di pioggia” e la conclusiva versione di “Bella ciao” che ancora riesce a commuovere sinceramente anche i più giovani tra gli spettatori.

Le ultime riserve di energia servono per accompagnare l’estrosità e l’ecletticità di Max Gazzè (qui l’intrervista in esclusiva per Music on Tnt), il quale si presenta al pubblico in un completo grunge-brit pop. L’aria scanzonata e svagata dell’artista romano, porta ad uno scambio di battute con le prime file di una arena concerti probabilmente più gremita rispetto alla sera precedente. Un giro di basso introduce ” Quel che fa paura”, ma la voce del pubblico si sente soprattutto in ormai testi classici come “Vento d’estate” e “Una musica può fare”. Il finale è scandito dall’ironia graffiante di “La favola di adamo ed eva” che chiude le porte di un festival che in due giorni ha saputo portare a Genova parte di quel meglio che la scena di oggi può proporre. Come la sera precedente gli artisti salgono sul palco e come sul podio della formula uno, e le prime file vengono battezzate dallo champagne che addolcisce un poco quel naturale senso di vuoto, figlio di 26 converti in due giorni.