Mario Bonanno “Storie di Dischi Andati”, recensione

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Riflusso, signore e signori. Il pensiero come vuoto a perdere.

Gli anni ’80, citati spesso, forse troppo spesso, sono oramai divenuti negli ultimi lustri un punto di riferimento in ambito culturale, nonostante la pochezza contenutistica che ne ha caratterizzato gli eventi. Ofuscati dall’impegno della decade precedente, quegli anni, decantati (parzialmente) da Pezzali, Manuel Agnelli e Raf, per i quasi quarantenni come me sono, e saranno sempre, un inevitabile punto di raffronto con la realtà. Anni caratterizzati dal moto scacciapensieristico, in cui le finte risate televisive appaiono oggi un allegoria di un tempo finto e finito, immortalato con semplicità dal trash Vanziniano, dal celebratissimo cabaret delle nascenti reti Mediaset e da una vacuità innata, a tratti rivisitata dalle vesti cult del cinema andato e da una Tv, che al confronto con quella di oggi… sembra addirittura migliore.
Tempi andati, in cui forma e contenuto sembravano lasciare il posto all’inutilità estetica del Paninaro, al disimpegno totale e alla musica leggera.

Ma, c’è un ma.

Oltre al pensiero debole di quei tempi, rintronati da imbarazzanti quarantacinque giri (Carletto, Gioca Jouer…), dai fagioli di Raffaella Carrà, da Rambo ed dal Commodore 64, l’apparente mondo reale continuava a vivere nascosto dall’apparire, sconvolto dalla radicante massoneria, dai maxi processi e dai rigurgiti terroristici. Proprio in quel mondo tangibile sembravano continuare a sopravvivere i cantautori italiani che, pur dovendo affrontare l’incredibile successo del popular ( L’italiano, Vamos a la Playa…), riuscivano, chi più chi meno, a resistere alle sirene della banalità.
A raccontarci quelle piccole Storie di dischi andati è Mario Bonanno, bravo a definire una linea di confine musicale attraverso un saggio delizioso, fisiologica e naturale prosecuzione di Anni affollati. L’Italia e i cantautori, 1973-1983.
Il libro, edito da Edizioni il Foglio, racconta, attraverso curate proto recensioni, decine e decine di dischi, mediate una struttura ben definita tra rimandi storici, citazioni e classifiche. Un viaggio cronologico che rivela al lettore il mondo di un cantautorato coerente ( De Gregori, Mimmo Locasciulli, Sergio Caputo), che, a differenza di incomprensibili cadute di stile (Venditti) è riuscito a mantenere un’arte compositiva persa negli effluvi di una società distratta.

Un libro che, senza troppi dubbi, riesce ad alimentare i frammenti di dischi storici e malinconicamente irripetibili, attraverso le parole terse del suo autore, in grado di racchiudere nelle sue 223 pagine un piccolo viaggio salvifico dal culto eightees.