Revenge “Survival Instinct”. recensione

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Il significato più comune di Revenge è vendetta, (metafora intuibile di) quella rivalsa nei confronti di un mercato paludoso e morente che definì lo split out di una tra le band più promettenti del panorama heavy anni ’80. Proprio quella voglia di rivincita, che il quartetto pesarese nasconde ancora tra le proprie note, sembra trovare compimento attraverso gli sviluppi di un Istinto di sopravvivenza che ha rivitalizzato dapprima gli Archivi storici della band ed ora, grazie alla Fuel Records, le nuove impronte sonore di Fabrizio Ugolini e Paolo Pedretti, anime iniziatiche di un ben stabile mondo hard rock.

I due dei ex machina, uniti al tecnicismo di Erik Lumen e Vallo giungono oggi ad un platter istintivo e granuloso, in grado di convogliare le paturnie vintage verso nuovi orizzonti sonori, atti a definire i confini strutturali di dieci tracce che trasudano sporco rock targato Italia. Infatti, la band, lontana dal look tanto ingenuo, quanto sui generis degli esordi, si adoperano anima e corpo ad un opera che segna, con il suo accorto songwriting, una vera e propria rinascita. Una seconda vita segnata dal tempo (perduto), caratterizzata da sonorità dirette e molto vicine al glam motleycruiano, come dimostrano l’opener Dead or alive e la titletrack, che sembra uscire da Girls Girls Girls .

Il disco sembra voler parlare un chiaro idioma, costruito attorno a classic guitar solo e riff stoppati, proprio come dimostra Crazy night, di certo tra le migliori tracce dell’album, grazie alla sua profondità espressiva, che sembra ritrovare nelle quattro corde di Vallo l’ingrediente magico. Non mancano poi strutture call and response (Home again ), deliziosi giochi balance (Can’t hold me down ) e riff dal groove promettente (Bite the bullet ), anime portanti di strofe pronte a vivere della forza energica dei propri accordi.

A completare l’opera del risveglio sono il classico hard rock di Shelter e l’attesa ballad Flying , atta ad inoltrarsi in un classico territorio emozionale tra arpeggi e strutturazione anni ’90.
Insomma un disco che, mostrando pochissimi lati deboli (Home again ), si presenta a noi come uno dei prodotti più interessanti di questo inizio d’anno, grazie all’accorto viaggio musicale che farà la felicità di nostalgici HMK, pronti a ritrovare venature Bon Jovi e Robert Halford, attraverso le linee vocali di Kevin Throat.