Above the tree & E-Side “Wild”, recensione

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Dopo aver emotivamente amato Into the nature, aver l’onore di recensire l’ultimo episodio della vita musicale di Marco Bernacchia, rappresenta per me un buon stimolo critico, per di più se l’evoluzione sonora dell’artista incontra il beat di Matteo Sideri, grazie al quale il progetto in divenire si concretizza in un riuscito incontro chiamato Wild.

L’album, promosso dalla bolognese Locomotiv Records, attenta a lasciare libera l’arte degli ottimi arrangiamenti di Sideri, ci catapulta nei cerchi metaforizzati dell’arte di Manuel Scano; perimetri che non ci è dato sapere se chiusi o meno in un circuito musicale, che pur appartenendo palesemente ad un certo tipo di alternative, rimane affacciato per essere notato anche da chi non vive questa tipologia di sonorità. Degna dimostrazione di questo viatico sapiente è ad esempio interludio di Bunga Bu, traccia magica, capace di unire sensazioni d’oltreoceano con giochi sonori africaneggianti, nel tentativo di donare una sensazione apolide alla stesura di note cariche di spezie.

Ma il tutto ha inizio tra le pagine di On the road da cui ci si immerge in un ipnotico andamento carpenteriano, reale effluvio sintetico, atto a fornire la base sonora per un dialogo ben strutturato, tra il classicismo della sei corde, che gioca a richiamare filmiche immagini hooperiane, e sinergiche intenzioni post futuriste di un basso che cavalca polveri di un tempo indefinito.

Gli acari silenti si posano prima sul folk bagnato dell’indie W china e poi sul blues di Safari fc, in cui buoni passaggi chitarristici si mescolano ad influssi subequatoriali, per una danza ancestrale che rinchiude vorticosi loop. L’istinto raffinato degli autori mostra qui la modalità d’uscita dalla inalterabile forza centripeta che si muta in sapore desertico con Svezia, in cui le note battono il proprio alito vitale, tra orizzonti incorruttibili e selvagge sensazioni naturali.
Di certo quest’ultima traccia rappresenta una tra le migliori del full elnght, capace a tratti di inondare le palpebre chiuse, con immagini lontane dalla caoticità industriale, anelando ad una immersione nel mondo vero, come le panoramiche proposte da Winter Queen e l’intimismo blues di Somewhat like blues, che chiude un progressivo viaggio d’artista, che ha nel suo zaino gli elementi giusti per calcare il sentiero.