Acid Brains “Thirty Three”, recensione

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Non sono più giovani gli Acid Brains e lo si intravede, perché la loro nuova fatica targata Red Cat Records si palesa come un prodotto fondamentalmente punk che, pur rimanendo legato al mondo giovanilistico, offre venature ben più ampie e meno radicate negli stilemi del genere. Un impatto (forse) più maturo di quello che fu Maybe, pronto a direzionare l’ascoltatore verso un suono legato imprescindibilmente a grunge e alternative, senza però dimenticare aperture brit & pop.

La band lucchese, forte del valore espressivo di Giambastiani, si ripresenta alle stampe con un disco grezzo, genuino e diretto che ha un unica grande imperfezione: la cover art. Infatti, al di là dell’idea ironica che viene rappresentata dal tratto grafico “fanziniano”, la struttura illustrativa limita molto l’impatto sonoro della tracklist, ricca di riferimenti semplici e veristi, pronti a popolare liriche trasparenti raccontate mediante due side, proprio come un caro e vecchio vinile. Due lati separati dall’impronta linguistica utilizzata per finalizzare un unico obiettivo: coinvolgere.

Le toniche picchiano sulla testa dell’ascoltatore sin da subito, tenendo la strada su impronte stoppate che conciliano alla perfezione con l’anima punk (cripto ’77), in cui, solo l’eccesso di pulizia sonora, ci orienta verso gli anni ’90, da dove fuoriescono sentori pilots ed intelaiature coinvolgenti quanto la rabbia espositiva che chiude il brano di overtoure. La traccia iniziale, connessa idealmente con i sentori di una bassline in stile Green Day, ci traina verso Halloween, composizione ancora basata su di una piacevole profondità espressiva, in grado a conciliare la spensieratezza degli Smoking popes con mondo alt punk di fine secolo. Infatti, la band, sin dalle prime note, sembra rapire l’ascoltatore con un’impostazione divertente e divertita, che pone lo sviluppo sonoro come fulcro emozionale.
Il viaggio ci conduce poi nella rabbia gersoniana di Sometimes, posta tra strappi sonori, animi battenti e rigurgiti heavy, perfetti nel palesarsi tra gli episodi più riusciti di questa nuova fatica. Sul medesimo confine si assestano poi le note pop rock di Answers, in cui le striature brit-pop si mescolano al pop & rock di un mondo “privo di FX”.

Il registro espressivo va poi a cambiare con il lato B del disco, interamente dedicato a composizione in madrelingua. Ad aprire il lato patriottico è Tu, in cui rivivono (nel bene e nel male) le semplicità punk di inizio anni ’90, sino a giungere a correggere il tiro con i riff grezzi e claustrofobici di Mi sorprendi e All’infinito, composizioni accorte che, con i loro richiami dark minimali, paiono al servizio di un grezzo rock, pronto a schiudersi nel “solido” finale, straniante e disorientante nelle sue venature, ma pronto a spingere su di un mondo crossover per collocarsi poi su impostazioni eccessivamente calmierate… almeno sino l’impressione finale.

Insomma, un disco che personalmente mi ha trasportato nella dimensione post adolescenziale, per divertirmi e coinvolgermi in un pogo che evolve verso animi stoner e ricami Seattle.

Se dovessi dare delle stelle punk rock, parlerei di 4 su 5…ma tutto è relativo!