Akuaduulza

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Bastano cinque parole per recensire questo album: miglior disco italiano del 2005.

Non vi basta?

Van de Sfroos non è olandese ma comasco e sta per “andar di frodo” come andavano di frodo i contrabbandieri di una volta, quelli che contrabbandavano generi di prima necessità o di piccolo conforto, gente povera che rischiava per sfamare sé e i suoi, gente e tempo passato che popolano le storie di questo menestrello del lago di Como che ha nome Davide Van de Sfroos – al secolo Bernasconi. Se il cognome d’arte ha salvato il nostro Davide da una fastidiosa assonanza con un altro cognome lombardo assai famoso ai giorni nostri, la scelta di esprimersi in dialetto ha rischiato di ghettizzarlo, per quanto i premi ricevuti a manifestazioni non sospette come il Premio Tenco e il pubblico elogio di titani come Paolo Conte la dicano più lunga della non richiesta etichetta di “cantante preferito di casa Bossi”. In effetti basta ascoltare le canzoni per capire che Davide Van de Sfroos non è il cantante di nessuno, al limite lo è della sua musa e della sua terra.

Davide Van de Sfroos è giunto con questo Akuaduulza al suo quinto album e se i precedenti contenevano momenti felici a iosa adesso siamo di fronte a un gioiello di cantautorato folk. Folk è senza dubbio la parola migliore per descrivere ciò che fa Van de Sfroos, perché è senza dubbio folk la sua attitudine di dar voce alle storie, leggende e personaggi del suo vissuto, quindi di tenerne viva la memoria e altrettanto folk sono al tempo stesso le mille influenze riscontrabili nella sua musica, con un occhio particolare alla musica della Louisiana.

E cominciando a parlare delle canzoni di questo album partirei proprio dalla Louisiana: Nona Lucia. Nona Lucia è una strega (stria) ma non è la sola, ben sette sono le streghe che di notte involano la barca di Fendin e poi non mancano personaggi con la luna (loena) storta come El Baron e Madame Falena, ma questo bravo autore dà voce anche a chi del mito è vittima, perciò abbiamo Il Corvo – l’uccello del malaugurio – chiamato da una parte a pronunciare la propria difesa ma anche a rivelare l’identificazione tra il volatile e il cantastorie – Io sono il corvo viene ripetuto due volte a inizio canzone e quando la esegue in concerto Davide mima il volo di un corvo.

Il Corvo è anche una delle due canzoni – l’altra è Shymmtakula – che Van de Sfroos canta in italiano in questo disco, certo l’italiano rende le sue canzoni accessibili a un pubblico più vasto (il CD contiene comunque la traduzione in italiano dei testi) ma trovo che le storie del lago perdano forza senza il dialetto, mi auguro che non lo abbandoni mai anche perché in chiusura di disco – quindicesima traccia – troviamo, in dialetto, la più bella canzone scritta finora da Van de Sfroos “Il prigioniero e la tramontana” scritta da Davide dopo un concerto tenuto a San Vittore, canzone che abbinando una vena di malinconia carica di speranza e di umana partecipazione sarebbe piaciuta a De Andrè.

“e diciamo tutti che ormai è tardi, e diciamo tutti che è troppo presto, e diciamo tutti è presto, è tardi, ma nessuno sa per che cosa, e diciamo tutti che eravamo angeli che però ci hanno dirottato, e abbiamo le ali stropicciate e ripiegate sotto il cappotto”

Da non dimenticare: se vi capita l’occasione di vedere Davide Van de Sfroos in concerto non lasciatevela scappare: l’uomo è eccellente intrattentitore e la Bandesfroos suona alla grande.