Anelli Soli “Malomodo”, recensione

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Era il 2008 quando Marco e Luca Anello decidono di intraprendere la via alternativa alla musica normalizzata. Così, spinti da intenti d’innovazione, una buona dose di follia e una scellerata incoscienza, arrivano a Agrodolcet prima e al premio “Innovazione” al Sotteranea Rock poi. Proprio da quel premio sembra partire la loro storia, forte di brani curiosi e convincenti che arrivano a farsi conoscere on stage sino all’incontro con la Seahorse Recording, grazie alla quale oggi abbiamo finalmente a disposizione Malomodo, full lenght di debutto che vede un’estensione di line up, grazie all’essenziale entrata di Antonio Stella.

Il disco si offre al pubblico grazie alla sinergia Audioglobe-Lunatik-Mukkake Agency, colpendo senza mezzi termini tutti coloro che sono alla ricerca di un opera coraggiosa, ermetica, ironica e a tratti boccaccesca, scomposta proprio come il collage disorientante e surrealistico che domina il progetto grafico e la sua art work. Un insieme scoordinato di immagini e tecniche pittorico-artistiche che si incontrano scontrandosi in un terreno pallido e neutro.

La finestra sull’insania si apre proprio con Youppi du per bambole (oh papà), già edita dalla Imago Sound e Sotterranea Rock nel 2009, e che oggi si ritrova a indossare le vesti di trainante battesimo con il suo folk-indie abbracciato a citazioni di folklore e spezie surf.
Un brano piacevole ed originale, assestato tra una schizzoide pazzia e un atteggiamento dinoccolato che si propone come una sorta di parodia in cui tempi e modalità si divaricano seguendo un attento songwriting. Una traccia mosaico in cui i vari tasselli si avvicinano tra loro senza mescolanze facili né impulsi di semplice armonia; spinti però da un’istintiva decomposizione dell’Io che, nella sua gradevole confusività, si appoggia a riff QOTSA come in Santaresa e ad un Zappattiano coraggio espositivo

Un giorno mi farò crescere le ali
Un giorno mi farò mangiale dai maiali
Perché rispetto a sono più leali
Non, non ce la farò, non avrò mai ali

L’arte oratoria di Marco Anello si mescola nel suo percorso artistico ad una musicalità dall’andamento variegato, proprio come in una tavolozza di colori, tra tinte poppeggianti, folk rock e sperimentazione che porta a tracce che non saranno molto apprezzate dalle religione di stato (INA Ina) e che a tratti sembrano voler definire un sentiero schizzoide e scoordinato (Acine Mod)

Il platter mostra poi un incredibile insieme di sonorità che, pur non convincendo appieno come accade in Il mio Piede e Canzone per persone buone, disegna un sentiero convincente e al di fuori dal comune, come dimostrano le capacità non solo espressive, ma anche tecniche del trio. A palesare le ottime sì potenzialità sono infatti i sentori vintage di Il cane stanco e la nascosta cupezza di Viaggio intorno al suo cranio, che sono superate solamente dal potenziali singolo Come Ernesto l’ombra e dal combat folk mascherato da alt-pop di La classica scena in cui muoio

Insomma, una band che, pur facendo leva su di un ironico e grottesco non sense, ci accompagna con chiarezza e linearità in un percorso a tratti Verdeniano, in cui l’ottimo uso delle pelli rende il disco ben calibrato e curioso, proprio come dimostra la giocosità finale, perfetta metafora del mosaico strumentale inseguito da questi strampalati Anelli soli.