Animarma ” Horus”, recensione

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Animarma, sincrasi tra le parole anima ed arma.

Considerando che applicare il concetto di anima ad arma appare fuorviante, presumo che la giusta via da percorrere per comprendere appieno il monicker della band, sia quella di metaforizzare l’animo umano come pericolante e pericoloso, se utilizzato in maniera antisociale. Un’anima inquinata dalla malvagità, dall’arrivismo e dalla ferita quotidianità di un mondo rabbioso, interposto tra partecipazione e autolesionismo.

L’ep del trio alternative rock sembra vivere e sopravvivere attraverso note nude, risolutamente hard, ma deliziosamente contaminate da stilemi stoner e tracce post, in grado di ricamare una convincente animosità che trova qualche ombra perfettibile nel songwriting, sorretto però da un composto sonoro solido, dinamico e trainante quanto il background nu-metal che si intravede nelle prima parte del disco.

Il platter entra nel vivo attraverso un sound che cita sviluppi sonori gradevoli ed immediati, vicini al mondo heavy. Un’implosione interessante che racconta sin dalle prime battute riff avvolgenti, atti a definire un ragionato dialogo tra le chitarre granulari. A fondere calma percettiva è poi la voce filtrata che assieme alla sezione ritmica definisce una sorta di habitat ideale per la narrazione (a tratti) perfettibile, soprattutto in coincidenza del chorus, definito in maniera poco convincente.

Senza troppe ombre, il mood migliora nella sensazione avvolgente di Tunne del dolore, impatto emozionale ed espressivo, in cui l’uso della bass line appare pronto a donare profondità e colore al tracciato che porta con sé reminiscenze pop-punk, dominate da un uso modulato del drum set, in grado di prestare ausilio ai momenti più schizzoidi delle liriche

Le sensazioni agè tornano poi nel riff iniziale di Invisibile, il cui stile Green day dà inizio al terzo capito di questo ep. Però, proprio mentre l’ascoltatore crede di essere sulla giusta linea direttiva, la band giunge ad offrire, come timbro della propria grafia, un cambio direttivo in grado di trasportare l’ascolto verso un attesa, che in realtà si trasforma in maniera continuativa, portando e ridefinendo lo stile espressivo attraverso diversi contesti influenzati da un alt-rock anni ‘90. Anche se la traccia non è tra le migliori, il buon orizzonte torna sui batti cardiaci di Scie Chimiche, i cui sentori new wave del riffing ci introducono in un nuovo mondo, in cui il testo narrativo, per certi versi tecnocratico, si accompagna ad un senso di phobia posta ai margini della deliziosa enclave in spoken word e della logica andante, che trova conclusione in Sputa fuori, apice perfetto di un disco forgiato con le idee dell’alternative e la granulosità del nu-metal; riuscito connubio sonoro…ma non poteva essere altrimenti, perché oramai (lasciatemelo dire) l’Alka Records non sbaglia direzione da molto…molto tempo.