Black Hole “Evil in the dark”, recensione

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Robert Measley è tornato dopo 32 anni di silenzio ed è tornato per riesumare quel nero male assopitosi dopo l’oscurità perpetrata con Land of Mystery, capitolo raccontato in quel lontano 1985, quando Roberto Morbioli decise di delineare la mitologia di un culto elitario. Una realtà arcana che viene ridestata con questa nuova Release targata Andromeda Relix, alle prese con un disco che solo curiosi, conoscitori o folli riusciranno ad apprezzare appieno.

La nereggiante miscela di gothic, prog e new wave definisce, infatti, i vertici di un triangolo riverso in cui sarà dolce cadere nella speranza di rivivere i fasti passati. Proprio dallo storicizzato trascorso, il deus ex machina dei Black Hole sembra voler ripartire, sviluppando idee antecedenti al 1990, ponendosi tra intuizioni e rivisitazioni, pronte ad affiancare nuovi universi sonori, qui legati imprescindibilmente ai misteri, alla morte e all’occultismo.

Ad aprire il viaggio nelle nebbie disturbanti dell’angoscia è la lunga suite d’overture (Evil in the dark), dalla quale emergono occludenti sensazione di perdizione. Il sound palesemente legato ad un paesaggio eightees, mescola orrorifiche impronte prog venate da scure ombre new wave, in cui la bass line funge da tonica espressiva per una track specchio distorto del proprio autore. Il sound melanconico, spigoloso e spezzato va ad unirsi ad una linea vocale a tratti eterea e intangibile, ma di certo funzionale al ridisegnare sentieri malsani.

L’oscurità trova poi continuità emotiva sia tra le note di Alien woman, disturbante e disomogenea anima sonica, sia in Holy Grail, in cui, ancora una volta, il modus operandi sincopato e sintetico di Measley incontra inquietanti passaggi alle tastiere. Proprio da qui la dilatazione doom riparte con Octopus tenebris, di certo tra i migliori episodi di questo inatteso ritorno. Infatti, proprio in questa composizione principe la discordanze narrativa si fonde alla visionarietà e alla profondità emozionale, perfettamente in grado di perforare una deturpata terza dimensione.

Sul medesimo fil rouge ritroviamo inoltre la catacombale Inferi Domine, una geometrica struttura sonora perfetta nel trainare l’astante ai confini di un tetro Ade. Un atroce impronta funeral doom, posta tra l’elettronica space di X-files e i keitar di Dangerous beings, destabilizzante urlo scomposto, ubicato tra false e fuorvianti convenzioni. Il DNA gothic va infine ad abbracciarsi a sgraziati passaggi alienanti che, tra andamenti ciclotimici e note spigolose, ci conducono verso gli “incubi” di un finale nefasto e liberatorio (The final Death), in cui l’organo riconduce il viaggiatore verso angosce e dubbi ancora inesitati.

Tracklist:
1) Evil in the Dark (9:45)
2) Alien Woman (5:20)
3) Holy Grail (4:35)
4) Octopus Tenebricus (6:25)
5) The Way of Unwitting (5:46)
6) Astral World (9:20)
7) X Files (8:03)
8) X Files part II (6:25)
9) Inferi Domine (5:50)
10) Dangerous Beings (9:09)
11) Nightmare (5:20)
12) The Final Death (2:29)