Danio Manfredini “Incisioni”, recensione

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Vi basterà osservare con attenzione la cover art di Incisioni per presumere lo spessore espressivo ed artistico di questo platter posto sotto l’ala protettrice della Lunatik. Infatti, sarà sufficiente soffermarsi con attenzione critica sulle linee armoniche della china mescolata a isolate tracce di colore, per capire la genuina intraprendenza di Danio Manfredini, scultore di musica e di espressività narrativa, atto a definire un raro equilibrio tra note e parole che si muovono con le loro linee cinetiche attorno al creato musicale.

Il disco, come spiega l’autore, evolve attorno alla concettualità della mancanza, della fragilità e di una elucubrazione attenta sulla condizione umana. A queste sensazioni, palesate in un alternarsi di emozioni semplici e a tratti minimali, si aggiunge una camaleontica capacità vocale, figlia del mondo teatrale da cui Manfredini proviene e da cui è stato rapito grazie all’intervento di Cristina Pavarotti, anima produttrice assieme a Massimo Neri.

Le 12 tracce in digipack mostrano con alterne fortune l’amore per la rivisitazione, resa appassionante da una metodologia espressiva solo in apparenza semplice, ma capace in verità di racchiudere suoni asciutti, minimali e di certo ben studiati attorno l’esposizione delle parole che i brani portano con sé.

Il viaggio nel nostro passato artistico si apre con Labbra blu, traccia che i Diaframma proposero in featuring con Cristina Donà, qui reinterpretata tra sofferenza ed espressività al servizio di un’intenzionalità voce-centrica che ci definisce una percepibile realtà confusiva, specchio di una lirica da cui si parte per incontrare sensazioni vibranti, autoriali e minimal blues, in un percorso desertico e teatralizzato come dimostrano brani come Stupido Hotel e Ci sono molti modi.

Se poi la rivisitazione di I Giardini di marzo e Le tue mani su di me finiscono per deludere, tra gli episodi più interessanti possiamo annoverare Se è vero che ci sei, con il suo arpeggio ben assestato, e Insieme a te non ci sto più, in cui la chitarra ritmata ci accoglie nello sguardo melanconico di un mondo trasfigurato con coraggio e originalità, come dimostra la splendida Nuotando nell’aria.

Un insieme di tracce che fanno viaggiare lenti ed elucubranti, attraverso un solitario e necessario bisogno osservativo.

Un disco che forse per alcuni detrattori della coverizzazione potrà apparire inutile e ridondante quanto un remake filmico, ma nel caso di Manfredini siamo di fronte ad una sinergia di arti differenziate, che rendono l’interpretazione preziosa e originale.