Devotion “Venus”, recensione

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Arriva il nuovo disco dei Devotion. A darne stampa è la milanese Bagana records, interessante label già sul mercato con alcuni titoli appetibili per coloro che si cibano di musica alternativa.
Il novero d’artisti vicentini, attivo dal 2005, con questo nuovo Venus, raccoglie sulle proprie spalle una serie di live di portata, oltre che alla preziosa collaborazione con Shaun Lopez. L’album rappresenta per loro la cosiddetta ultima fatica, secondo lavoro mixato all’Hate studio da Maurizio Baggio e masterizzato al West West side studio di New York da Alan Douches, che qualcuno ricorderà legato a Mastodon e Snapcase.

Il quartetto offre al pubblico pensante un buon mix di crossover, assestato attorno a spezie nu metal, xcore e alternative, che fuoriescono dai tirati 10 brani all’ombra della fuorviante cover art, in perfetta disarmonia con la violenza controllata del modus operandi.
La band mostra di saper percorrere con sicurezza il sentiero avviato con Sweet Party, ma ancora non riesce nell’intento di pesare con precisione il loro reale valore. L’ensembre si ritrova forte di una serie d’arrangiamenti semplici ed efficaci, buoni tecnicismi e idee chiare, talvolta però referenziate al conosciuto passato. Se Matteo Bellotto e soci riuscissero a definirsi attorno a movimenti più arditi, avremmo maggiori speranze di acquisire ulteriori consensi. Ma il tempo è dalla nostra parte e il terreno fertile mostra già i primi fiori.

Il full lenght propone in prima istanza un’alternanza di voci contrapposte, selezionate all’interno di una atmosfera compositiva, in cui l’ascolto scorre fluido in una sorta di power metal poco etichettabile. Sin da subito ottimo appare l’apporto della batteria, dai cui trapela un background nu metal. Infatti con Dakota il gruppo ci porta sulle tracce dei Deftones e degli Sx 10, ma soprattutto dei primi One minute silence. La traccia, al di là delle influenze, appare tra gli episodi più felici, con la sua andatura tribale e i suoi riff corposi che rendono elastica l’espressività vocale.
Non manca poi uno sguardo superficiale all’anarcho punk e all’hc americano, anche se talvolta la potenza d’esecuzione si approccia ad andature nereggianti, come nel caso di Drinkin’ Shibuya
o al proto doom di When You Tell Me a Lie, in cui sussurri e grida anticipano la convincente Pink Socks. Quest’ultima sembra riportare ad intuizioni post grunge attraverso dipinture ossessive ed aperte a focolai sonori ben strutturati.

Il disco si chiude poi con la titletrack, una tra le migliori tracce di questoVenus; il brano, esclusivamente musicale, offre un post rock intenso, prima diluito nell’ottimo incipit reso corposo da una persuasiva sezione ritmica e da un lontano over lay della chitarra, e poi intensificata attraverso un emotività complessa, che racchiude tutta la rabbia e la disillusione che arriva presto a placasi, come a raccogliere se stessa, deponendosi a raccogliere le sue ultime energie, in una sonorità sottile come un filo sospeso nel nulla.

Un disco che meriterebbe molta più attenzione di quella che avrà, proprio perché riesce a definire con schiettezza il volto buono del crossover, riuscendo a sviluppare analisi musicali concrete e dirette, adatte a chi ricerca un’energica scossa d’adrenalina.

TrackList

Red Carpet
Dakota
Timeless Beauty
Drinkin’ Shibuya
Nova
When You Tell Me a Lie
Pink Socks
Golden Axe
Karma
Venus