Dharma Storm” Not an Abyss Prey”, recensione

dharma.jpg

“We are the storm in the sky”

Lo dico subito, soggettivamente parlando, il disco dei Dharma Storm non mi convinto. Le motivazioni sono fondamentalmente tre:

• Una vocalità a tratti perfettibile
• Un’eccessiva lunghezza
• Una produzione poco graffiante

Oggettivamente parlando, invece le cose migliorano grazie alla verve compositiva (ben strutturata), da cui emergono tematiche legate alla fuga, alla libertà e alla definizione del proprio ego, qui raccontato in maniera lucida, talvolta immaginifica e fiabesca, in grado di portare con sé un insieme di stilizzazioni musicali; prove concrete di un reale fulcro espositivo.

A dare inizio alla tempesta è il giusto piglio dai sentori vikings, subito inquinati dalle tastiere che segnano l’imminente arrivo di una immortale ciurma. Principia proprio da qui la narrazione piratesca esposta in maniera pulita, ma a tratti poco vitale della linea vocale, immersa in una traccia introduttiva che riesce a sviluppare una mescolanza di elementi pronti ad abbracciare incursioni folk e riffing classicamente heavy, che sembrano mirare alla narrazione romanzata.

Il disco prosegue con l’evocativa Night of the burning skulls, in cui l’opera esecutiva di Nicholas Terribili detta i giusti tempi espositivi tra guitar solo e spiragli vintage, per poi spostarsi verso i movimenti sonori che trovano una chiara miglioria in Blackout , in cui l’atto preparatorio e i passaggi bianconeri riescono, poco prima di implodere, a restituire sensazioni coerenti con il songwriting spesso curato e narrativo.

Sulla medesima linea ritroviamo le emozioni sinfoniche di Across the line of time e la sua sezione ritmica, pronta ad offrire il giusto pattern alle sensazioni antiche di una traccia annoverabile tra le migliori dell’album.

Se poi piacevolmente impeccabile sembra essere il riffing di Emerged, con The possessed one la band ci offre tinte inquiete e nereggianti, pronte a calmierarsi prima con la docilità di God is gone e poi con le sole note di Live togheter die alone, traccia strumentale che ci traina verso l’anthem anarco-rivoluzionario di Jolly Roger, perfetto punto di partenza su cui elucubrare mostrando il fianco a sonorità più vicine alla piacevolezza della tematica portante e da cui ripartire per trovare una vicina quadratura del cerchio.

TRACKLIST:

1. Immortal crew
2. Night of the burning skulls
3. Blackout
4. Trail of tears
5. Across the line of time
6. Emerged
7. The possessed one
8. God is gone
9. Live togheter.. die alone
10. Jolly Roger