diNotteRecords Lovecats e Montgomery

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Quando mi sono imbattuto per la prima volta nel mondo della diNotteRecords sono rimasto per qualche minuto ad osservare ammaliato il logo della label modenese. Il mio alterego da illustratore non è rimasto impassibile di fronte alla romantica delicatezza di quella panchina resa vuota dalla solitudine della notte, dolcemente immersa nelle soffuse luci di un mondo nascosto. L’etichetta nostrana si presenta nella fiumana di proposte contemporanee attraverso uno sguardo rivolto alle realtà indie, pur non sapendo ancora quale sarà il proprio futuro. Infatti, come si legge nell’official web site, solo il tempo definirà i reali contorni della diNotte Records.

Ma non è questo il tempo dei dubbi e delle speranze, perché i cancelli dell’ incognito sono ormai aperti grazie a due piccoli splendidi album, che per una volta vogliamo presentavi all’interno di un unico articolo, in quanto sembrano rappresentare un solido punto di partenza per la label. Due viti portanti per un’impalcatura sonora costruita attorno ad una accortezza professionale ed a una reale passione.

Lovecats Almost Undune

Il primo capitolo della nostra storia porta il nome di Lovecats, gentile duo femmineo che, con il loro approccio indie-folk, arriva alle stampe di Almost undone, delicato Extended Played pronto a porgere un velato sguardo ai classicismi alternative di voce e chitarra, arrivando a mescolare piccole sognanti sensazioni che dalle tastiere di Luciano Ermondi, arrivano alle base note del Super Elastic Bubble Plastic di Gianni Morandini.

Il duo veronese, formato da Cecilia Grandi ed Adele Nigro, partito sulle note di Boys don’t cry, arriva a raccontare quattro brani sognanti, attraverso soavi trame e inusuali sensazioni dettate dal synth di Paolo Mazzacani e il flicorno di Giordano Sartoretti, pronti a ridefinire con passione emotiva un disco adatto a coloro che ospitano nel proprio cuore l’alternative rock nelle sue striature più folk.
Ad aprire le sensazioni viaggianti è la solare apertura Anna, pensierosa e coinvolgente nel suo essere vicina alle venature Fanfarlo, che ritroviamo nell’atto di chiusura You kill flamingos, in cui la splendida voce portante si abbraccia in perfetta armonia con la sei corde. Se poi lucida e ben strutturata appare l’arte finger di Home, è con Feb 13th che si evidenzia una curata struttura minimale, vicina all’arte espressiva di Ani Di Franco. Una traccia che, nonostante alcune sbavature in back voice, racchiude le sensazioni della cover art all’interno di una piccola e preziosa partitura, perfetto anello di congiunzione con il proprio orizzonte.

1 – Anna
2 – Feb. 13th
3 – Home
4 – You Kill Flamingos

Montgomery Ep

Il secondo capitolo del piccolo romanzo raccontato dalla diNotte Records porta il nome di un capo d’abbigliamento casual look, molto in voga negli anni ’70, anni da quali la nostra vecchia conoscenza Duccio Simbeni, voce dei Canadians, sembra voler raccogliere sensazioni vintage per poi riformularle attraverso un turbamento lo fi. Le tracce nate e poi sepolte dagli eventi hanno ritrovato la luce grazie Matteo Bertolotti e alla brava Daniela Savoldi, violoncello indie che ritrova Simone Gelmini alle percussioni, qui pronte a ritmare la (ri)nascita del progetto Montgomery.

Il mini disco tesse trame senza tempo che risultano, tra alti e bassi, fili di congiunzione convincenti ed ammalianti per il loro tono emotivo d’impatto. Tra gli episodi più interessanti possiamo annoverare Mary only knows, il cui arpeggio iniziatico arriva ad accarezzare il violoncello interposto all’interno di un dolce e patinato torpore espositivo che sembra dover molto ad Art Garfunkel, pur non distanziandosi da sentori Belle and Sebatian. L’andamento edulcorato della struttura viene senza troppe ombre, definita attraverso un ben dosato drum set, tanto intimista quanto trainate, accomodato tra le piccole enclave del violoncello. Il dolce Fil rouge definisce una ritmica molto simile a se stessa, alquanto delicata e melanconica, sensazione dalla quale si riparte con Mirage n°2. Il sapore disorientante sembra voler osare su territori diversificati e definiti nel suo rincorrere l’anelante climax sonoro, pronto ad aprirsi propedeuticamente alla sensazione felliniana di Pocket Jeane, il cui filmico incipit va a fondersi alle armature definite in maniera indie classic dalla canzone stessa, attraverso lo sguardo retrò di un quartetto pronto al grande passo.