Delooze “Glass army”, recensione

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…infectious tonic of crunchy, industrial instrumental sections and pop diva vocal hooks. .

Così si legge tra le righe descrittive del profilo Facebook. Si chiamano Delooze e giungono dalla terra d’Albione con il loro brillante Glass Army, autoprodotto full lenght, supportato da nomi di calibro e da una volitiva campagna di crowdfunding realizzata tramite Pledge Music.
Un debut album in grado di raccogliere a sé l’arte visionaria di Stacey Delooze, Dea ex machina di questo eclettico e a tratti pretenzioso project. L’opera, ispirata alle degenerazioni new wave, sembra volersi fondare su intuizioni sofiste, tra rintocchi trip e sezioni claustrofobiche. Un’oscurità espressiva e velata che con le sue cuciture a grana si avvinghia al mondo alternativo, donando efficacia filmica ai suoi risvolti. Nove tracce per quasi un’ora di viaggio sonoro, le cui sensazioni si mostrano nel loro essere attraverso diversificati orizzonti paralleli.

Ad aprire I cancelli dell’oscurità è uno splendido intro, cupo e nereggiante in grado di anticipare le sfumature buie di un disco comunque aperto a visioni non così corvine come la cover art stessa vorrebbe far credere. Infatti, proprio la seconda traccia Nature Boy, restituisce nell’immediato un più rasserenante habitat, reso accogliente e delicato dalla linea vocale morbida e delicatamente appoggiata a un pop rock enfatico, slegato dalle tipiche strutture mainstream (come dimostra l’outro strumentale desertico ed inquieto).La chiusura del brano si allinea alle diluite sensazioni di Death Star, racchiusa tra intuizioni cripto dance, su cui la funzionale opera di back voice raggiunge dettagli interessanti, nonostante un impronta deja ecù. Spezie da nuova onda si uniscono, inoltre, ad un’aurea orchestrale, che a tratti si propone in maniera evocativa, al pari delle ridondanze iniziatiche di Holler, tra i brani più interessanti dell’album. La traccia, definita da un manierato espressivo da cui nascono note acute, si propone vestita di diversificate pelli, che trainano la ridondanza oppressiva dell’incipit verso un’apertura rock ben strutturata. L’impianto sonoro, i tasti bianco neri e l’uso minimale del drum set offrono un delicato rintocco artistico al brano che, quando sembra perdersi, si ritrova attraverso intimidazioni discorsive.

La magia tenue del narrato si ritrova poi tra le melanconie di Mountains e le intercalazioni lo-fi di Too heavy to stand, da cui si riparte verso un volo irregolare e claustrofobico in grado di dischiudersi grazie allo sdoppiamento vocale, che, complice l’impronta chitarristica, sviluppa un climax espressivo pronto a raggiungere il suo apice, per poi ricadere sullo status quo iniziale. Da qui si riparte verso l’osservativa Lost army, sofisticato rimando al mondo Portished, dai quali i De Looze sembrano voler rapire atmosfere che si concretizzano su intrecciate impalcature filmiche. Una composizione dagli algidi, disturbanti ed inquieti passaggi, non troppo discosti dalle sensazioni emozionali della branchia sinfonica del pop metal.

A chiudere l’opera degna di menzione è la spendida Roads, distorta e per certi versi orrorifica, dettata da una voce filtrata che, con i suoi strascichi espressivi, potrebbe finire tra le grazie di Tom Yorke, sebbene venga a palesarsi un approccio (ahimè) mitigato dal bisogno di armonia.

Un disco, dunque, di per sé interessante ed avvolgente, in grado di avvicinare multipli piani espressivi, mostrando con semplicità le “strade” di una surreale città artistica.

Tracklist

Intro
Nature Boy
Death Star
Holler
Mountains
We Are Transient
Too Heavy To Stand
The Show
Lost Army
Roads