Ecco – Niccolò Fabi – Recensione cd

cd cover

Non c’è niente da fare: la sofferenza, come spesso accade per ognuno di noi, rappresenta per ogni artista anche una grande (involontaria) occasione di crescita.
La storia della musica è piena di esempi di album concepiti nel pieno di un dolore e, di solito, questi sono proprio fra quelli migliori, o comunque fra quelli che lasciano più il segno. Nel caso del nostro Niccolò, la perdita improvvisa della figlia Olivia (Lulù) in tenera età – nel 2010 – è stata una sorta di bomba atomica esistenziale ed era logico aspettarsi che in questo nuovo disco ci fosse più di una traccia (ma forse è meglio parlare di “sottotraccia”) di un vissuto così esplosivo, a livello emotivo.

Basta prendere il ritornello del singolo “Una buona idea” che ripete con malinconica ridondanza quel “mi basterebbe essere padre…” per sentire subito una fitta dritta al cuore che prima ferisce e poi piano piano, paradossalmente consola, andando avanti nello sviluppo spiritualmente ascensionale del brano. L’idea che un Padre possa sentirsi “Orfano” fa letteralmente gelare il sangue, soprattutto per chi (come me) ha la gioia di avere dei figli.

Profonda e nel contempo sarcasticamente geniale è l’analisi del male di questo tempo che emerge da “Io”. Prima sembra giustificare il naturale egoismo ed egocentrismo che c’è in noi, ma in realtà, nel finale, ecco la frase che spiega il punto centrale del suo pensiero: “non è il mestiere mio assomigliare a Dio per quanto bella sia l’idea – sì, si chiama egomania la nuova malattia di questa società dell’io..io..io”. Affilata come la lama di un coltello.

Musica da ballata pop-acustica, quasi on the road, per la perla del disco “Indipendente”: il concetto di vita autarchica, come presupposto di ogni presunta felicità, è sviscerato a 360° e solo apparentemente esaltato: a partire dai fidanzati nel loro reciproco rapporto e dagli artisti dall’industria, per passare ai figli rispetto ai genitori, così come i politici dal potere centrale. Ma anche in questo caso il tutto risulta solo l’occasione per affermare che tutta questa smania di libertà e ricerca di “non appartenenza”, dopo tutto, è solo una grande illusione. La frase: “…indipendente, per restare l’amante di tutto”, poi, vale il prezzo del biglietto.

Sarebbe da citarle tutte queste canzoni; come i violini incastonati nella semplicità ermetica di “Elementare”, dove il vuoto che lascia la morte (“elementare, come un’altalena libera”) in fin dei conti, è tragicamente naturale, come tutto ciò che scorre intorno a noi (“elementare, come un pallone che rotola”). Emozionante.

Non si può non accendere una luce, inoltre, sia sul festival dei rimorsi e dei rimpianti di “Le cose che non abbiamo detto”, viste come fantasmi dolorosi che ci inseguono, ma dai quali è necessario emanciparsi, sia sulla folkeggiante “Lontano da me” (nel cui ritornello echeggia piacevolmente Fango, di Jovanotti). il pezzo è un vero e proprio manifesto “Fabiano” del concetto di viaggio, fisico e mentale, come terapia per riuscire a ritrovarsi. E ancora, va evidenziata la geniale “Sedici modi di dire verde”, titolo contrapposto all’emblematica frase… “un solo modo di dire addio”…no comment.

La title track, che chiude l’album, è una vera e propria apoteosi dell’elaborazione del lutto. Musicalmente un crescendo di dark rock che esalterebbe perfino il Robert Smith di Disintegration; nelle liriche sembra a prima vista criptica ma, ad ascoltarla bene, non è altro che una grande moviola col dito premuto sul tasto rewind, per riavvolgere il nastro della memoria, funzionale al concetto base del brano (o forse del disco intero): Lulù non sarà mai dimenticata! Una curiosità: ascoltandola si può intuire la chiave del significato simbolico dell’arco e della freccia della copertina, ma preferisco lasciare a voi il gusto di interpretarlo a modo vostro.

Insomma, credo non ci siano dubbi sul fatto che “Ecco” sia il miglior disco del cantante di “Capelli”, tanto per l’indiscutibile profondità dei testi, quanto soprattutto per l’altissima concentrazione di melodie, certo orecchiabili, ma mai banali.

In una parola: imperdibile (purché, ovviamente, si difetti in superficialità).